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Categoria: Artisti dall'Italia
Pubblicato Domenica, 05 Dicembre 2010 15:12

La mia ricchezza è l’etere

Franco Battiato presenta il suo terzo film a Monaco

INTERVenti hatte durch die Vorführung des Films „Niente è come sembra“ im Münchner Gasteig die Gelegenheit Franco Battiato zu interviewen. Der sizilianische Musiker und Regisseur erzählt – ehrlich aber auch empört – über Italien, die Filmkultur, sein Leben in Mailand und seine Rückkehr nach Sizilien.

Rosanna Ricciardi

“Sarebbe possibile fare 30 ore?” avremmo voluto scherzosamente rilanciare, quando ci hanno chiesto se bastassero 30 minuti per un’intervista a Franco Battiato. “Certo, 30 minuti basteranno” abbiamo risposto invece ad Alfredo Di Cesare, organizzatore dell’importante iniziativa di mostrare a Monaco Niente è come sembra, il terzo film dell’autore siciliano. Iniziativa importante perché, come purtroppo assai di rado accade, si dà visibilità ad un personaggio sconosciuto al grande pubblico in Germania e si sfida il giudizio tanto della critica quanto del botteghino italiani, entrambi estremamente severi con Perduto Amor e Musikanten, i suoi due film precedenti.

Con in mano le domande e nella voce, temiamo, un tremolio che tradisce l’emozione di conoscere chi si segue fin da adolescenti, lo incontriamo in un pomeriggio non troppo tardo, ma già buio: è fine ottobre e l’ora legale in letargo da un giorno. Da subito scopriamo che Franco Battiato ha lo stesso potere evocativo delle sue canzoni. Non solo i suoi testi e non solo la sua musica, dunque,possiedono questa capacità di astrarre e condurre, anche solo la sua voce basta ad allontanarci dalla hall di un albergo posto su una delle rare e lievi alture del capoluogo bavarese, farci sorvolare le Alpi, gli Appennini e i monti Iblei e infine atterrare in una piazza dominata da una chiesa barocca e inondata da una luce ancora meridiana e già maghrebina, al tavolino di un caffè, sotto una palma centenaria. La sua voce che, con il garbo e la cadenza del gentiluomo d’altra era, edulcora anche le risposte più schiettamente critiche e una non celata superbia.

INTERVenti (IV): La seguiamo da decenni e avremmo tantissime domande, che necessiterebbero di molto più tempo, ma, come Lei spesso canta, tempo ce n’è sempre meno e abbiamo scelto allora quelle più attinenti al carattere biculturale della nostra rivista e al motivo della Sua presenza a Monaco. Cominciamo dall’Italia. Lei l’ha cantata in Povera Patria, ma a me piace vedere in un altro Suo brano una metafora del nostro paese: in Casta Diva Lei canta: “Un vile ti rubò serenità e talento. Un vile ti rubò serenità. Un vile ti rubò.” L’Italia come la Callas: una bellissima creatura, una creatura divina che con la sua arte spezza il cuore per sempre, ma a cui il vile di turno, complice una società sempre più orientata verso il guadagno a tutti i costi, ruba serenità e talento, snaturandola.

Franco Battiato (F.B.): Mi piace quella canzone ed è vero: quel vermaccio lì, pace all’anima sua, ce l’ha rubata. E la stessa cosa la fanno alcuni italiani, di cui uno si deve vergognare, con il loro paese. Ed è anche più di come sembra. Ogni sera vedere questi politici, questa carrellata… sembrano dei carri allegorici di Carnevale. Ignoranti, bifolchi. Non è possibile. La cosa grave però è che non sono dei dittatori, ma c’è chi li sostiene. Anche certa stampa, che dovrebbe piuttosto ignorarli, rifiutarli.

(IV): Gli stessi che Lei ha definito fuor di metafora “maiali” in Povera Patria, una canzone che si conclude con le parole “La primavera tarda ad arrivare”. Lei che pensa? Arriverà?

(F.B.): Il momento è molto delicato e trovo che possa diventare una cosa o l’altra. Se andasse avanti e prendesse una deviazione, allora sarebbero dolori veri. Ma io sono un ottimista, il bicchiere è sempre mezzo pieno e la primavera arriverà.

(IV): E la Germania? Quanto la conosce? Il tedesco è una delle lingue che utilizza spesso nei suoi testi.

(F.B.): Ne amo la letteratura e ovviamente la musica, ho letto con avidità tutti gli autori tedeschi anche se poi il mio debole era ed è il misticismo.

(IV): La Germania era un tempo meta di un’emigrazione non necessariamente scelta. Oggi ci si muove in maniera più consapevole e spesso senza essere forzati a farlo, un po’ come è stato per Lei, quando ha deciso di andare a Milano.

(F.B.): Sì, infatti. Io fui per l’epoca un “emigrante” molto particolare. Alcuni miei concittadini potrebbero offendersi, ma quando a 19 anni arrivai a Milano, alla Stazione Centrale, con la nebbia, ebbene mi sentii a casa. Furono anni bellissimi. Senza una lira, ma questo non contava niente. La città era piena, piena di gente che sembrava avere un progetto, che non ciondolava senza motivo avanti e indietro davanti ad una piazza.

(IV): È quello che racconta nel suo primo film Perduto Amor. Le parole con cui, nella sequenza finale, il professor Sgalambro preconizza il suo ritorno potrebbero descrivere molti di noi approdati al Nord dalle terre del Sud: Si ritorna in Italia in vacanza, a trovare la famiglia, la si critica ferocemente perché noi si vive nella “civiltà”, ma un giorno si torna, “è la legge dell’appartenenza, sarà il clima, la luce, l’aria”. Per lei cosa è stato, allora, a farla tornare?

(F.B.): Per me è stato, dopo i 40 anni, il richiamo della terra. Fino a quel momento c’era stata come una vendetta tribale, s’immagini che ogni volta che tornavo mi ammalavo. Stavo male 15-20 giorni e poi ripartivo. Mentre ora che sono tornato definitivamente ho una vita magnifica, nella natura, a Milo. La natura mi dà una ricchezza immensa. La mia ricchezza è l’etere.

(IV): Per banale che sembri “…Sarà la luce, sarà l’aria…”

(F.B.): Assolutamente sì.

(IV): La Sicilia: io sono stata in Sicilia con le sue canzoni prima di andarci veramente…(Sorride di un sorriso che ci sembra di soddisfazione)… e con due canzoni in particolare: Secondo Imbrunire e Mal d’Africa.

(F.B.): Lo capisco, Secondo Imbrunire è veramente una pennellata sulla Sicilia.

(IV): Sì, una pennellata dal linguaggio fortemente icastico, in cui le parole possiedono una cifra molto visuale. In Perduto Amor ci sono delle “messe in scena” dei passaggi delle sue canzoni: gli spiragli di luce contro il soffitto, iI padre che si passa la brillantina nei capelli e molti altri, ma paradossalmente sono meno immediati che nelle canzoni, come se ci fosse un filtro. A riprova di questa sensazione ho letto sul suo sito che la vera protagonista di questo film è la macchina da presa. Ci spiega questo concetto?

(F.B.): È vero. Da quando ho messo piede sul set io ho un’idea esatta del cinema che voglio fare. Io ho iniziato tardi e questo non è un dettaglio da trascurare, al di là del fatto che alcuni pensino che io stia tentando di fare cinema, il che mi lascia del tutto indifferente, io ho scelto un linguaggio, un linguaggio che, essendo in mezzo a un clima terroristico instaurato dal cinema americano, che ha sabotato proprio tutte le resistenze, le riserve, si pensa che sia una cosa incompiuta. Invece la forza di questo cinema, di questa lingua è proprio la disgregazione del racconto… vedo che annuisce…

(IV): …sì, pensavo ad un editoriale uscito a settembre su un autorevole quotidiano nazionale, dove si analizzava il cinema italiano proprio in riferimento al linguaggio più che alle tematiche, e s’imputava la cattiva qualità della produzione attuale alla mancanza di un linguaggio valido, fatta eccezione per alcuni autori…

(F.B.): …ma il punto è proprio questo: in Italia il cinema non esiste perché non hanno idee, manca l’autore. Chi sarà stato citato come eccezione nell’articolo? Bellocchio? E poi?

(IV): No, magari! Bellocchio no. E neanche alcuni giovani e interessanti registi. Come eccezioni vengono citati Moretti, Muccino, Verdone.

(F.B.): Fermiamoci a Moretti, altrimenti andiamo in zone pericolose.

(IV): Sì, anch’io ho pensato che qualcosa non quadrava e che allora non c’è neanche da stupirsi che il Suo secondo lavoro, Musikanten, abbia ottenuto l’accoglienza che ha avuto alla proiezione per la stampa del Festival di Venezia 2005, con manifestazioni di disapprovazione francamente esagerate.

(F.B.): Sì, son d’accordo. Sebbene…ricordiamoci l’accoglienza riservata al film di Carmelo Bene sempre a Venezia (Nostra Signora dei Turchi, 1968, NdR) quando venne sfasciato un cinema. È impressionante vedere come un film possa suscitare queste reazioni.

(IV): Sì, è impressionante…ma dissentire su un film è un discorso, mentre un’accoglienza con fischi e risate da parte di professionisti del settore è abbastanza sconfortante, non crede?

(F.B.): Sicuramente, ma vede, il problema è a monte. Nella musica i critici sono specializzati: una sola persona non può occuparsi di jazz, classica, leggera, pop etc. Mentre per il cinema il critico può recensire film di tutti i generi e può stroncare un film che parla di misticismo anche se non ha mai letto niente a proposito. Non è possibile liquidare una cosa solo perché non la si è capita. A Venezia il critico ufficiale del Corriere della Sera ha detto che io arrivo a dire in questo film che tutti sogniamo Beethoven, ma questo non c’è nel mio film. Lui ha frainteso (quindi vuol dire che c’è già una prevenzione, che ti porta a sentire una cosa per un’altra): lo sciamano diceva che il sogno è nell’ordine delle cose, che è diverso. Una causa determinante degli attacchi subiti da Musikanten è stato il mettere in scena l’ipnosi regressiva. Fosse stato solo un film su Beethoven, magari sarebbe stato definito noioso e basta, ma i passaggi temporali hanno spiazzato quelli che alla fine sono degli incompetenti totali. Ma in questo sono in compagnia di grandissimi registi, da Rossellini a Bresson, a Kubrick. Di Barry Lyndon si scrissero all’epoca delle cose incredibili che fanno venire voglia di chiedere “Ma che hai guardato?”

(IV): Questo per quanto riguarda la critica. E il pubblico come ha reagito al suo secondo lavoro?

(F.B.): Io in Italia ho fatto 50 proiezioni in tutte le regioni: m’interessava sapere come il film veniva percepito in contesti diversi da quelli ufficiali, dove molto spesso imperano dei meccanismi indipendenti dalla qualità del film. Il pubblico si rivelava elegante, attento, desideroso di ascoltare e capire. E questo mi ha dato una speranza sociale.

(IV): Quindi esiste una fetta d’italiani che reagisce all’omologazione e al degrado culturale messo in atto o accettato con connivenza dalle istituzioni? E che dimostra interesse e curiosità per linguaggi nuovi e diversi?

(F.B.): Sì, per fortuna esiste e reagisce alle mostruosità che li circonda, come l’ex presidente del Consiglio ad esempio. Io non riesco neanche a guardarlo, è una mostruosità che fa male. O come quel signore della Lega che si è scagliato contro la Montalcini (Roberto Castelli, NdR)… ma non è possibile, anche lui potrebbe scagliarsi contro un cinema. È lui, sono loro. Il problema è che in Italia non c’è senso civico: siamo dei ladri e dei farabutti per costituzione e la televisione è specchio di questo degrado. Trasmissioni come La prova del cuoco sono cose di cui vergognarsi, i programmi in cui si balla dovrebbero essere mandati solo via satellite, mentre visibili a tutti sulla TV pubblica dovrebbero essere programmi con altri standard qualitativi. Per fortuna ci sono Raitre e trasmissioni come Report o Annozero che danno una speranza.

(IV): Una delle prime sorprese riservatemi dalla Germania a pochi mesi dal mio arrivo, fu di vedere in prime time, un sabato sera, sul terzo canale della televisione statale, una trasmissione su Erri De Luca…

(F.B.): In Italia sarebbe inimagginabile, questi nemmeno sanno chi è Erri De Luca.

E sorride Franco Battiato, di un sorriso che sembra d’amarezza. E mentre sorride fa cenno a qualcuno che discretamente ci si è avvicinato: i 30 minuti sono passati e dobbiamo concludere l’intervista. Lui si congeda con i suoi modi garbati e con la sua voce talmente capace di astrarre e condurre, che quasi ci stupisce che, per raggiungere il Gasteig e assistere alla proiezione del film, camminiamo sui marciapiedi arrugginiti dall’autunno nordeuropeo e non lungo la linea puntellata di palme al centro di una piazza inondata di luce. Mentre per nulla ci stupisce, alla luce della conversazione appena avuta e di quanto dichiara durante il breve dibattito a seguire, che il linguaggio usato da Battiato in questo terzo film, sia, più ancora che nei precedenti, ricercato, criptico, esoterico. E non per caso.

2008-1 pg 17

 


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