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Pubblicato Venerdì, 15 Novembre 2013 13:43

Erri De Luca, lo scrittore e l’uomo

Si è tenuto il 13 novembre scorso a Monaco di Baviera un incontro con lo scrittore napoletano Erri De Luca che ha presentato il suo ultimo libro "I pesci non chiudono gli occhi"

Pasquale Episcopo

Monaco, 14 novembre.
Vedi Napoli e poi muori. Ovvero: Napoli è talmente bella che niente al mondo la può superare. Pertanto, dopo averla visitata si può serenamente morire, certi di aver visto la cosa più bella cosa del mondo.

Col titolo “Oh mia bella Napoli - una serata con Erri De Luca” il Literaturhaus di Monaco ha reso omaggio, ieri 13 novembre, allo scrittore napoletano, molto famoso in Italia, da alcuni anni apprezzato e amato anche dal pubblico tedesco. Durante la serata, Napoli e il suo golfo sono stati al centro di ricordi, riflessioni e racconti dello scrittore che ha risposto alle domande della moderatrice, la giornalista Maike Albath. Sul podio l’attore Thomas Loibl ha letto impeccabilmente alcuni brani tratti da “Fische schließen nie die Augen - I pesci non chiudono gli occhi” del 2011.

 

Per De Luca i luoghi o i paesaggi in cui uno scrittore ambienta le proprie storie svolgono sempre un ruolo fondamentale perché essi forniscono “il combustibile dello stupore”. È il combustibile a cui attingono “per la quantità di bellezza di cui è formata la materia” i personaggi delle sue storie. Ma quando l’ambiente è rappresentato dalla città di Napoli, in tutte le sue infinite variazioni e sfaccettature, allora è Napoli stessa che diventa “protagonista e i personaggi retrocedono al ruolo di comparse”.  Parte di Napoli sono il suo mare e l’intero golfo, elementi che per De Luca appartengono al “sistema nervoso della città”. Un sistema creato “dalla forza degli elementi, modellato dai terremoti e dal vulcano”.

Enrico De Luca è nato a Napoli nel 1950 e negli anni del dopoguerra è cresciuto in una casa borghese dove ha avuto la fortuna di poter leggere: “C’era una stanza piena dei libri di mio padre. Era una stanza calda e silenziosa perché i libri facevano da isolante contro il freddo e il chiasso della città. Quei libri sono sopravvissuti ai bombardamenti vincendo sul fuoco”. Nel 1960 la scuola era molto diversa da come è oggi. Maschi e femmine erano separati e stavano in due edifici diversi. “Nessun contatto era possibile”. De Luca racconta però di un altro tipo di contatto che lo ha fortemente influenzato durante l’infanzia, quello con i bambini poveri. “Le famiglie povere e con tanti figli non potevano permettersi di mandarli tutti a scuola, soltanto uno di loro poteva andare a scuola. La scuola cercava di fare una eguaglianza che fuori non c’era. Alle undici tutti ricevevamo un panino. I bambini poveri mangiavano quel panino con un appetito che metteva allegria e che io non ho mai provato. Un’altra cosa che non ho mai provato era la rasatura dei capelli” cui tutti i bambini poveri dovevano sottostare per eliminare i pidocchi. “A scuola usavamo calamai e pennini e un’altra differenza era il modo di asciugare le macchie d’inchiostro: i ricchi lo facevano pigiando forte la carta assorbente, i poveri non avevano la carta assorbente e avevano imparato a pulire via la macchia con un gesto leggero ed elegante della mano. I bambini poveri mi hanno dato l’educazione sentimentale e mi hanno fatto provare compassione e vergogna”.

Gli è stato poi chiesto di definire il processo della memoria. “Io non sono il proprietario della mia memoria. Questa è come un ghiacciaio che si ritira e ogni  tanto lascia emergere qualche pezzetto, frammento o reliquia. Io li racconto, racconto le persone. Quelli che ami non muoiono. Sono assenti ingiustificati perché non gli è stato dato il permesso di andarsene e la memoria è un modo per poter stare con loro. Il lutto è sempre il giorno numero uno ... io non lo so elaborare il lutto: quando scrivo costringo gli eventi e faccio succedere il passato di nuovo. Solo gli storici sono capaci di trasformare il passato. Io sono redattore, non autore. Esattamente come Omero nell’Iliade che chiede aiuto alla Diva, che le chiede di cantare l’ira funesta...”.

Gli interventi dello scrittore sono stati frammezzati dalla lettura di brani tratti da “Fische schließen nie die Augen”. Ambientato a Ischia in una estate di cinquanta anni prima, il libro racconta l’infanzia di due ragazzi e la scoperta dell’amore e del significato della parola giustizia. “Per un ragazzo che esce dai vicoli bui della città sbarcare su un isola è l’incontro con la libertà. La libertà ha i piedi scalzi. La libertà è lavarsi i capelli con l’acqua di mare. Il mio temperamento di ammutolito perpetuo mi ha consentito di poter andare per mare insieme ai pescatori: bisognava essere sordomuti, si poteva solo guardare. Io me ne stavo a guardare in silenzio, osservavo e imparavo”.

Poi lo scrittore ha letto personalmente un brano tratto da: “I pesci non chiudono gli occhi”
Sul mare non è come a scuola, non ci stanno professori. Ci sta il mare e ci stai tu. E il mare non insegna, il mare fa, con la maniera sua. ... Ci vedeva qualcosa di buono in me, bambino di città che d’estate veniva sopra l’isola. Scendevo a guardare le mosse delle barche. Con il permesso di mamma potevo andare su una di quelle, lunghe, coi remi grossi come alberi giovani. A bordo facevo  quasi niente, il pescatore si faceva aiutare in qualche mossa e mi aveva insegnato a muovere i remi ... Mi faceva gettare l’ancora. Avevo raggiunto dieci anni, un groviglio di infanzia ammutolita. Dieci anni era traguardo solenne, per la prima volta si scriveva l’età con la doppia cifra. L’infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta nello stesso corpo di marmocchio inceppato dalle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori. Tenevo dieci anni. Per dire l’età, il verbo tenere è più preciso. 

Erri De Luca, lo scrittore e l’uomo. Ieri al Literaturhaus di Monaco. La sala era gremita da un pubblico variegato, in maggioranza tedesco, che è stato intrattenuto piacevolmente per circa due ore. Due ore di racconti di episodi e aneddoti, di immagini e sprazzi di vita che hanno ispirato la mano di De Luca, la sua penna e la sua scrittura. Una scrittura asciutta e schietta, ruvida e diretta, acerba e incisiva. Una scrittura che forza le parole e ne abusa reinventandone il significato e facendone letteratura.

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