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Il piccolo Lutring

Il libro di Luciana Lanzarotti, descrive una storia drammatica e vera, quella di un giovane italiano, che vive ora a Monaco. Giulio Bailetti presenta il racconto e il protagonista stesso, talvolta ospite presso gli "incontri di letteratura spontanea"

Giulio Bailetti, Lehrer aus Rom und Gründer des literarischen Treffpunktes „incontri di letteratura spontanea“ beim Italienischen Kulturinstitut in München, stellt das neue Buch von Luciana Lanzarotti vor. Das Buch beschreibt eine wahre Begebenheit. Es geht um das tragische Schicksal von Giovanni, einem jungem Italiener, den Bailetti bereits seit vielen Jahren persönlich kennt.

Giulio Bailetti

Monaco 24 maggio 2012.
Leggere un libro di cui si conosce bene il protagonista, con la cui autrice si è in contatto e che suscita anche ricordi personali di fatti e luoghi vissuti, non è la stessa cosa, che leggere un libro che racconti solo belle storie di altri, anche se interessanti.

Giovanni, il protagonista de "Il piccolo Lutring", è a Monaco ed è stato ai nostri incontri di letteratura spontanea. Ora è, una brutta parola, ma tanto per capirsi, in “manicomio”. Ultimamente è stato protagonista a modo suo di una cruenta azione dimostrativa ed autolesionista.

Lui giura che l'autolesionismo non abbia niente a che fare con il masochismo, quanto piuttosto con la protesta più silenziosa ma pure più estrema. È andato allora a Viktualienmarkt nella chiesa durante la messa e si è tagliato con le lamette in più posti le vene delle braccia e del torace. Il sacerdote celebrante è scappato in sacrestia. Alcune donne hanno gridato. Presto sono arrivati la polizia e l'autoambulanza. L'hanno soccorso. In ospedale una giovane dottoressa italiana gli ha applicato quaranta punti di sutura. Ora sta bene. Sui giornali naturalmente non è apparsa alcuna notizia.

La sua storia è la storia di un povero ragazzino del sud che va a Genova con la famiglia a cercar fortuna. Non la trova. Allora comincia a rubare nelle gioiellerie per poter comunque vivere. Lo soprannominano “il piccolo Lutring”, sulla falsariga del bandito Luciano. Luciano Lutring era infatti un famoso rapinatore di banche, che negli anni '60-'70 era solito rinfoderare il mitra nella custodia di un violino.

Seguono poi per Giovanni tre settimane intense. Con il cric rompe vetrine, arraffa e scappa. È velocissimo. Va dal ricettatore e incassa, tanti soldi quanti non ne aveva visti mai. Fa a tempo anche ad innamorarsi e ad andare a Portofino con la sua donna, Elisabetta. Poi lo prendono, ma non sul campo, solo da quel “cornuto” del ricettatore.

Va in prigione. È difficile vivere in prigione con dignità, senza una cultura di base che faccia da cuscinetto. Si rischia per fierezza ed orgoglio di commettere altri reati di reazione e Giovanni naturalmente ne commette. Gira un po’ tutte le carceri italiane. Poi alla fine lo mandano nei manicomi criminali, una volta ancora esistenti, in pratica all'ultimo posto possibile della società e della storia.

Qui la sua vita si ricollega un po’ anche alla mia. Negli anni ’70 studiavo legge a Roma all’università. Nelle altre facoltà c’era il movimento studentesco, ma da noi c’erano principalmente studenti, che volevano solo laurearsi in fretta in qualche modo, lavorare con prestigio e guadagnare tanto, di solito aiutati in questo da benestanti famiglie. Poi c’erano parecchi fascisti, che spesso occupavano la facoltà e all’ultimo posto c'eravamo noi: un collettivo formato da sette studenti, tra cui due donne. Un giorno però un’associazione di magistrati e quella di alcuni avvocati indisse da noi un’assemblea. Mi apparve allora una luce. Mi sembrò finalmente che persino studiare legge, potesse avere un qualche senso sociale. Ci organizzammo quindi ed ognuno di noi cominciò a frequentare un avvocato e/o un magistrato. Con loro per esempio ci davamo addirittura del tu, cosa inconcepibile, anche solo con gli assistenti della nostra facoltà.

Facevamo molte cose. Io, ancora piuttosto giovane, ritagliavo giornali che riportavano secondo me significative notizie sociali e politiche. Ma c’era anche chi s’impegnava ad intervenire nelle carceri, già allora strapiene e in cui vigeva spesso l’illegalità. Dario Fo e Franca Rame mandavano soldi ai detenuti in qualche modo anche politici. Marina Valcarenghi scriveva libri importanti, come “I manicomi criminali in Italia”, in cui descrive dettagliatamente la tortura, praticata a volte piuttosto disinvoltamente. Gli avvocati difendevano molti studenti e operai, arrestati spesso a frotte e poi malmenati. Io in loro compagnia cercavo solo di capire tutte queste complicate cose, all’apparenza davvero incredibili.

Uno di questi nostri avvocati, Carlo Rienzi, poi diventato noto per la fondazione del CODACONS, credo che si chiami, il sindacato dell’ambiente, dei consumatori e degli inquilini, un giorno ricevette un mandato per difendere alcuni detenuti del manicomio criminale di Aversa, già molto malfamato. Gli raccontarono storie incredibili di torture. In un eventuale processo  non sarebbero di sicuro bastate semplici testimonianze, per giunta di “matti”. Al colloquio successivo ci andò allora armato di una video8, l’economica telecamera di una volta, che fece scivolare al suo mandante “matto” sotto al tavolo di nascosto. Fu Giovanni poi ad avere il coraggio necessario materialmente  a spingere il bottone che avrebbe definitivamente filmato le torture.

Nove detenuti su alcune centinaia ebbero il coraggio di firmare la denuncia. Per chi denunciava, date le quotidiane ritorsioni, c’era in gioco naturalmente la vita. Si arrivò al processo. Risultò che era la camorra che di fatto comandava in quel carcere. Il direttore, il medico, il capo delle guardie ed altri furono condannati a lunghe pene detentive. I nove coraggiosi, e solo loro, furono risarciti con novanta milioni di lire in tutto, sette milioni a testa, tolte le spese degli avvocati. L’ex direttore poi s’impiccò anche per la vergogna. Giovanni, solidale con gli amici detenuti, regalò molti dei suoi soldi a chi secondo lui se li era meritati.

Poi altre carceri, altri delitti, altri “manicomi”, poi aboliti con la legge cd. Basaglia e infine l’espatrio. Da anni Giovanni sopravvive a Monaco, con alterna fortuna... Spesso ha sbagliato e questo ancora lo paga, e gli altri?

No, non è proprio la stessa cosa per me leggere solo un bel libro e leggere questo.

Ricordo anche ancora bene Portofino. Per anni ci andavo spesso con i miei partecipanti, quando più giovane organizzavo lì vicino le mie vacanze linguistiche. Un altro legame.

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