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Tu avrai successo. Scrivi! Lascia perdere gli amici!

Intervista al professor Alfonso Gaglio, scrittore e amico da sempre di Andrea Camilleri

Alessandro Eugeni

Porto Empedocle, giovedì 9 aprile 2015.
Per capire fino in fondo l’opera di Andrea Camilleri, bisogna andare, almeno una volta, a Porto Empedocle, conoscere di persona i luoghi nativi, dove si è formato, con chi ha stretto le sue prime amicizie, vedere le navi che arrivano e ripartono, passeggiare lungo il porto di fronte a quel “mare africano”, la vita ancor oggi dura dei pescatori, i furgoncini “Ape” sulla via Roma con il pescato della notte. E poi i sapori del pane al sesamo o dei cannoli preparati al momento, le semplici e accoglienti trattorie con i piatti di mare tipici, dai “purpiteddri” agli involtini di spada.  E ancora, le signore empedocline benvestite all’uscita dalla messa della domenica dove le aspetta la zingara a un obolo. I palazzetti signorili della vecchia Porto mescolati ai segni devastanti della speculazione edilizia degli anni Sessanta-Settanta. Le ciminiere monumentali della centrale termoelettrica che si stagliano, massacrandola, contro la bella baia di Porto Empedocle. E poi la parte bassa e la parte alta della città che “pare Nuovaiorca coi grattacieli” come si legge ne “Il cane di terracotta”. E quelle stradine di collegamento strette e ripidissime che a farle a piedi ti viene il fiatone. E poi i magrebini in giro per la città e quegli sbarchi di migranti. E tanto ancora... Un microcosmo, insomma, dove in quella sicilianità profonda inevitabilmente s’innestano e si condensano i contrasti inquietanti del mondo di oggi.

Faccio i miei giri, esploro. In Via IV Novembre 16, c’è “La casa del pesce”, pescheria di Massimo d’Amico, dove acquisto calamari e sarde freschissime. Parlando del più e del meno il discorso scivola sul maestro Camilleri. Così vengo a sapere che, al portone accanto, abita il prof. Alfonso Gaglio, uno degli amici più cari dello scrittore. Volendo intervistarlo, Massimo mi consiglia di prendere contatti con il figlio Luigi, ingegnere presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Porto Empedocle. Due giorni dopo, alle dieci e mezzo, mi apre la porta del prof. Gaglio la gentile nipote Maria Rita.

Al professore chiedo di parlarmi un po’ di lui e dei suoi studi.
Alfonso Gaglio (AG): Presi la laurea e superai gli esami di avvocatura. In seguito mi sono abilitato all’insegnamento della Lingua francese ed ho insegnato negli Istituti Superiori.

Alessandro Eugeni (AE): Alfonso Gaglio e Andrea Camilleri. Come vi siete conosciuti?
AG: La nostra conoscenza risale ai quattordici-quindici anni. Abitavamo entrambi in via La Porta, lui all’inizio, io alla fine. Ma da bambini non ci siamo frequentati perché per sei anni sono stato mandato a studiare a Catania dai Salesiani, presso il collegio San Francesco di Sales.

AE: Che ricordi ha di quel periodo?
AG:
Ho dei ricordi bellissimi, perché ci facevano studiare e divertire: la ricreazione era una cosa straordinaria.  I miei compagni giocavano a pallone, io preferivo leggere. Il Venerdì Santo si stava tutti in silenzio.

AE: Erano severi?
AG: Dai Salesiani ho ricevuto un’educazione cristiana e da loro ho scoperto la lettura. Avevano una bella biblioteca, leggevo specialmente romanzi dell’America del Sud e messicani. Leggendo avevo la sensazione di poter spaziare in altri luoghi. In quegli anni nasce anche il mio amore per il cinema.

AE: Erano frequenti le proiezioni di film?
AG: Ogni quindici giorni veniva proiettato un nuovo film. A carnevale, poi, ogni classe si organizzava per allestire uno spettacolo teatrale, mi accostai così al teatro ed iniziai ad apprezzarlo. Quel collegio ebbe grande importanza nella mia formazione culturale e morale.

AE: E dopo il collegio?
AG: Il passaggio da quella scuola privata al Liceo fu traumatico. Ma io con quel poco di latino che sapevo mi trovai bene. E continuai i miei studi impegnandomi più responsabilmente.

AE: Quando iniziò la sua frequentazione con Camilleri?
AG: Fu proprio negli anni del Liceo. Frequentavamo lo stesso Liceo Classico, il “Luigi Pirandello” di Agrigento, anche se non stavamo nella stessa classe, essendo io più grande di tre anni.

AE: Avevate già gli stessi interessi?
AG: Camilleri da giovane scriveva poesie, leggeva romanzi americani e c’era in lui  qualcosa di interessante.

AE: E con gli altri amici di Porto Empedocle?
AG: Eravamo un gruppo di amici: oltre ad Andrea Camilleri, c’erano, tra gli altri, i fratelli Burgio, Alfonso e Francesco, stessa età del primo, e Filippo Ferrara, che era il più esuberante.

AE: Come vivevate gli anni del dopoguerra?
AG: Avevamo una ventina d’anni. Ci davamo da fare per trovare un’occupazione in qualche attività professionale. Non volevo fare l’avvocato, questo era un desiderio di mio padre, io volevo fare il medico. Sono stato costretto ad iscrivermi a Giurisprudenza all’Università di Palermo. Nenè, Andrea, voleva andare a Roma a studiare all’Accademia di Arte Drammatica. 

AE: Come occupavate il  tempo libero?
AG: Mi venne l’idea di creare una filodrammatica, la chiamai “Maschere nude”. La mia prima commedia fu “Il treno fantasma”, la storia di un americano... All’inizio eravamo io, Filippo Ferrara, Pepè Castellano, Pasquale Sinesio, Salvatore Attard. Totò Agrò faceva il rumorista, faceva il treno.

AE: Come andò?
AG: Il debutto fu al cinema-teatro Mezzano, venne tutta Porto Empedocle ed avemmo un buon successo che ci spinse a continuare.

AE: E poi?
AG: La seconda commedia fu “Così ce ne andremo” di Vittorio Calvino, commediografo e sceneggiatore; la trama era molto semplice: un uomo che muore con i suoi ricordi... Nella divisione dei compiti del nostro gruppo, Andrea chiese quale potesse essere il suo ruolo. “Ma fai il regista!”, gli dissi. Iniziò così, ad interessarsi, per noi, al teatro e nacque  il suo amore per la scena.

AE: Quali lavori avete rappresentato?
AG: Abbiamo dato Martoglio, De Filippo, poi di nuovo una commedia di Vittorio Calvino, “La torre sul pollaio”.

AE: Quanto tempo è durata la compagnia teatrale?
AG: Durante gli anni dell’immediato dopoguerra fu molto attiva. Poi ognuno prese la sua strada. Andrea Camilleri andò a Roma, ma io rimasi molto legato a lui.

AE: E lei ha continuato a scrivere?
AG: Qualche lavoro teatrale, come “Pirandello dopo, Atto unico” del 1980: i personaggi di Pirandello si ribellano e vogliono diventare uomini. Pirandello allora non era valutato come meritava: Agrigento l’ha bistrattato. E qualche romanzo, come “L’altro”, 1998, al cui centro c’è un letterato deluso perché i suoi scritti non vengono apprezzati dagli editori.

AE: E le sue conversazioni con Camilleri?
AG: Quando Andrea rientrava dalla capitale a Porto Empedocle, passeggiavamo in via Roma o al porto. Lui mi parlava sempre di romanzi polizieschi che leggeva e aveva in mente. Non era ancora conosciuto, ma io sapevo quello che lui aveva in testa. Lo invogliavo a scrivere e gli dicevo: “Tu avrai successo. Scrivi! Lascia perdere gli amici!”.

Il professore con tutti i suoi novantatré anni risponde lucidissimo. Ma è visibilmente affaticato. Concludo allora l’incontro con una sola ultima domanda.

AE: Nella mia prima intervista nel 2006 feci a Camilleri questa domanda che ora rivolgo anche a lei: “Il 1992 fu l’anno delle stragi a Falcone e Borsellino. A nove anni di distanza, nel 2001, alle elezioni politiche ci fu una vittoria scandalosa, schiacciante, della Casa delle Libertà che, in Sicilia si aggiudicò 61 seggi su 61...”
AG: Il siciliano non ha un carattere fermo, si nasconde da sempre.

AE: Da che cosa si nasconde?
AG: Da se stesso.

Il prof. Gaglio fa una piccola pausa. Quindi conclude: "Penso di aver detto tutto".

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