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Categoria: Mito
Pubblicato Martedì, 15 Dicembre 2015 14:37

"Lorelei" di Heinrich Heine e la tradizione greca

"...alla fine l'onda inghiotte barcaiolo e barca... ed ahi! Questo ha fatto con il suo canto la fanciulla Lorelei (H. Heine, Libro dei canti)

Laura Benatti

Como, 15 dicembre 2015.
La morte e la passione amorosa rappresentano un topos letterario proprio dell'età romantica e della sua predilezione per i contrasti.
Per gli artisti di questo movimento, l'amore è sottratto alla banalità della routine quotidiana, sfugge all'usura del tempo, addirittura alla sessualità.
Hanno la preferenza manifestazioni drammatiche, trasgressive che vengono rappresentate sia in letteratura sia in musica sia in pittura.

Tale connubio amore-morte viene esplicitamente dichiarato dal grande Giacomo Leopardi che nei vv.99/100del" Consalvo", afferma: "...due cose belle ha il mondo//amore e morte".
Siffatto dualismo venne studiato anche da Sigmund Freud che lesse nel termine greco "eros" "amore" la pulsione verso la vita, mentre nella parola greca "thanatos", "morte", la spinta verso la fine, il nulla: due elementi che congiunti costituiscono l'essenza della psiche umana. 

In Heinrich Heine, poeta tedesco di età romantica, tale motivo si affaccia prepotentemente allo sguardo del lettore nei bellissimi versi della poesia intitolata" Lorelei", facente parte della raccolta "Libro dei canti".

"Lorelei" significa etimologicamente "rupe che costringe a guardare in alto" e con questo l'artista vuole alludere all'origine del nome della protagonista.

La ballata si ispira ad un'antica leggenda popolare tedesca che parlava di una rupe, Lorelei appunto, a picco sul fiume Reno, che aveva il potere di incantare i marinai che le volgevano lo sguardo, conducendoli alla morte.
Si riteneva che tale rupe fosse abitata dallo spirito di una splendida fanciulla, dai lunghi capelli d'oro, morta drammaticamente per una cocente delusione d'amore: non essendo più in grado di distinguere la realtà dalle illusioni, nel tentativo di catturare un miraggio, si sarebbe gettata nel vuoto.
La grande abilità di Heine è stata quella di trasformare una vicenda tratta dalla tradizione popolare in un'atmosfera eterea ed onirica.

Nella tradizione soprattutto greca sono innumerevoli gli esempi di unione amore-morte; pensiamo solo alla biografia della celebre poetessa greca Saffo (VII/VI sec. a.C.) che in età romantica venne rivisitata sotto alcuni aspetti: in particolare, venne divulgata la sua morte per suicidio, causata da una delusione d'amore.
La bellissima Saffo dai "capelli di viola" si sarebbe, infatti, gettata dalla rupe di Leucade in mare perché respinta dal barcaiolo Faone di cui si era follemente innamorata.

Non di secondo piano il motivo delle "incantatrici", presente nei versi di Heine e nella tradizione greca. Queste figure, scatenando passioni travolgenti, conducono le loro vittime nel gorgo della morte. La loro seduzione sorge dall'attrazione fatale che l'uomo da sempre prova per ciò che è ignoto, oscuro, misterioso.
Il motivo onnipresente dell' acqua stessa non è affatto casuale: questa, infatti, è connotata da caratteri contrastanti. Da un lato l'acqua è indispensabile alla vita umana, dall'altro può diventare mortale.

Quindi risulta coerente l'accostamento tra le incantatrici e tale elemento.
Il fluido acquatico può, ad un primo sguardo superficiale, rappresentare trasparenza, chiarezza, purezza, in realtà si può rivelare sede ideale di allucinazioni in grado di travolgere e rovinare la mente umana. È il caso del famoso episodio delle sirene di Odisseo, nell'omonimo poema omerico: l'eroe sapeva che avrebbe messo a rischio la sua vita e quella dei compagni ascoltando il loro canto che, era noto, rappresentava un'attrazione fatale. Per questo chiese ai più fidati dell'equipaggio di legarlo all'albero della nave e di mettere loro dei tappi di cera nelle orecchie affinché tale pericolo fosse evitato e così, ancora una volta, l'astuto greco vinse la Sorte.

 

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