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Categoria: Mito
Pubblicato Sabato, 16 Aprile 2016 17:21

Dolore e malattia nella mitologia greca

"La felicità è benefica al corpo, ma è il dolore quello che sviluppa le facoltà dello spirito." (Marcel Proust)

Laura Benatti

Como, 16 aprile 2016.
In molti termini medici italiani compare nella seconda parte della parola "-algia ", oppure "-patia" come, ad esempio, "sciatalgia, nevralgia, artralgia, cardialgia ecc...", o "apatia, epatopatia, discopatia, gastropatia, ecc..."
Ci siamo mai chiesti nelle originarie parole greche, da cui esse derivano, quale fosse il loro vero significato?

Iniziamo dai principali termini che in greco antico indicano l'idea di "dolore, patimento, sofferenza".
"Algos" era nella mitologia greca il dio del dolore, nato, come racconta Esiodo (VIII-VII a.C.), nella sua "Teogonia", da Eris (divinità della discordia) figlia di Zeus ed Era (secondo Omero) oppure, secondo altre fonti tra cui Ovidio, figlia di Era e di un fiore da lei toccato, o ancora figlia, secondo Esiodo stesso, della Notte.

Esiodo, Teogonia, vv. 211-232": ...Notte partorì l'odioso Fato, la tenebrosa Kera e Thanatos (Morte), procreò Upnos (Sonno) e con lui la famiglia dei Sogni.

Senza sdraiarsi con nessuno figliò Nyx (Notte) angosciosa... poi partorì le Moire e le Chere, giustiziere implacabili... Notte esiziale partorì anche Nemesi (Vendetta), Frode, Desiderio d'amore, l'acciaccata vecchiaia e la brutale Eris".

Figli di Eris e fratelli di Algos, secondo l'autore della Teogonia, sarebbero stati altri gravi motivi "disturbatori" della salute fisica e della serenità psicologica come, ad esempio, Limos (Fame) oppure Lethe (Dimenticanza).
Di conseguenza, Algos discenderebbe da una forza oscura, primordiale, irrazionale e, in effetti, il dolore arreca caos, disordine, irrazionalità nella vita umana.
Il dolore induce a leggere la realtà in modo non oggettivo, deformato, come se chi ne è colpito fosse, appunto, avvolto dalle tenebre.

In tale visione, tuttavia, può anche verificarsi che la sensibilità individuale verso la realtà circostante sia accentuata: non a caso i Greci ritenevano, ad esempio, l'epilessia (come anche la cecità) un morbo "sacro" che permetteva a colui che ne era stato colpito di entrare direttamente in contatto con la divinità ed ascoltare e vedere quello che non era permesso alle persone "sane".

Di rilevanza minore, ma presente nella vita di tutti i mortali, Penthos (cordoglio funebre), ottenne da Zeus il "dono" di presiedere alle cerimonie funebri e di governare il pianto e il dolore dei presenti.

Pathos (sofferenza o emozione) indica quella parte irrazionale dell'animo umano che sfugge, anzi che si contrappone al controllo del Logos (ragione).
Nietzsche parlò, a proposito della nascita della tragedia greca, di "spirito apollineo" ovvero di spirito contemplativo legato al kosmos (ordine) e di spirito "dionisiaco" ovvero di spirito emotivo legato al kaos (disordine).

Il pathos rappresenta, quindi, quella parte dell'uomo che più si emoziona, soffre, ama e odia, potrebbe essere definito "vox media", cioè uno di quei termini che, a seconda del contesto, assumono una valenza positiva oppure opposta.
Se il Logos è in grado di avvicinare l'uomo agli dei, il pathos lo accosta alla sua natura più ferina.

Il dolore, comunque sia, è parte dell'uomo e come recita il famoso passo tratto dal "Giardino della sofferenza" di Giacomo Leopardi 

 

 

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