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Categoria: Mito
Pubblicato Lunedì, 15 Maggio 2017 13:23

La giustizia e… la sua giusta misura

Laura Benatti

Como, 13 maggio 2017.
Nel mondo romano il termine "ius" indicava la "giustizia tra gli uomini", la "giustizia dei tribunali", in italiano “giuridico, giurisprudenza, giurisperito”, mentre per "giustizia divina" esisteva un’altra parola, "fas", da cui in italiano "fasto, nefasto".

Ancora una volta il mondo greco, però, riesce ad unire la precisione dei concetti con la fantasia travolgente del mito e così nasce "Dike" (Giustizia). Chi era Dike? Nel mondo greco era la dea della giustizia umana: il filosofo Platone la immaginava come una fanciulla illibata, in quanto la giustizia dovrebbe, per sua natura, essere pura, incorrotta, volare alto, al di sopra di tutto e di tutti. Figlia di Zeus, padre di tutti gli dei, e di Themis, divinità della giustizia divina, vegliava sulle azioni umane e, quando gli uomini la offendevano, lei in lacrime li inseguiva e, avvolta in una nebbia, sempre sotto la protezione del padre, causava loro sofferenze. Il poeta Pindaro le attribuì una figlia, Esuchia, (Tranquillità), perché riteneva che una comunità possa vivere in una condizione di pace solo se sono osservate le leggi. Che il rispetto di queste costituisca una caratteristica imprescindibile di una società civile è una verità che difficilmente si può mettere in discussione.

 

Le leggi di uno Stato e la loro osservanza sono ciò che ci separa dal cosiddetto “stato di natura”, dal quale l’uomo si è gradualmente e faticosamente emancipato nel corso della sua lunghissima storia. Le norme offrono la possibilità di rimediare alle deficienze di una libertà che, abbandonata a se stessa senza stimoli, senza direzioni di marcia e senza freni, finirebbe per negarsi.

Da queste ovvie considerazioni si potrebbe dedurre un’affermazione altrettanto logica: l’uomo virtuoso è colui che rispetta la legge, ed è tanto più virtuoso quanto più è preciso il suo asservimento alla legge. Ma è sempre vero questo? Gli antichi Romani, in particolare Cicerone (I sec. a.C.), dicevano: "summum ius, summa iniuria" (l’applicazione rigorosa del diritto può portare all’ingiustizia). Sorge allora l'esigenza di contemperare il principio della giustizia col criterio dell'equità, ossia della giustizia, sì, ma nel caso concreto.  “Aequitas" in italiano si può tradurre con moderazione, equità, armonia, l'ideale classico che rifugge sempre dagli eccessi di qualunque natura, la celeberrima "aurea mediocritas"(aurea via di mezzo), cantata dal poeta latino Orazio (I sec. a.C.).

Il culto “religioso” della legge poggia sulla convinzione che sia possibile tracciare una linea retta laddove non ci sono che percorsi tortuosi, laddove regna “il guazzabuglio del cuore umano”, per dirla col Manzoni. Nella letteratura moderna abbiamo un esempio chiarissimo di eccesso di applicazione di giustizia nel personaggio dell'ispettore Javert, nel romanzo francese "I miserabili" di Victor Hugo:  Javert rappresenta il legalismo puro, la legge eretta ad assoluta... e l’assoluto non contempla eccezioni, mai! L'ispettore, salvato dall'uomo che lui stava perseguitando da una vita, l'ex galeotto Jean Valjean, si trova a dovere fare una scelta tra il suo inflessibile senso del dovere e la riconoscenza nei confronti dell'avversario di sempre: sceglierà, piuttosto, di togliersi la vita. Dietro il velo della virtù si nasconde il male, ovvero la negazione della pietà, la soppressione del sentimento, l’incapacità di misurarsi con la complessità, che non si può cogliere che nella vitale integrazione di mente e cuore. Javert, per eccesso di zelo, era caduto nella più profonda confusione e non sapeva più riconoscere i confini del bene e del male, tutta la realtà gli appariva con colori cupi e tutto era motivo di atroce sospetto, non sapeva volgere lo sguardo neanche più alla Natura con fiducia, ma tutto e tutti erano oscuri nemici da cui guardarsi…

Quell’uomo era composto da due sentimenti semplicissimi e relativamente buoni, ma che egli rendeva quasi malvagi a forza di esagerarli; il rispetto per l’autorità, l’odio per la ribellione. […] Era assoluto e non ammetteva eccezioni. […] Sventura a chi cadeva nelle sue mani! Avrebbe arrestato suo padre che evadeva dalla galera e denunciato sua madre per violazione del bando. E l’avrebbe fatto con quella sorta di soddisfazione interiore che dà la virtù. Accanto a questo una vita di privazioni, l’isolamento, l’abnegazione, la castità, mai una distrazione. (Victor Hugo, I miserabili)

Video Javert's Last Words (John Malkovitch): https://youtu.be/pQoVIjUeETc

 

 

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