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Categoria: Cultura
Pubblicato Martedì, 07 Dicembre 2010 10:22

De Chirico a Monaco di Baviera, cent'anni fa

Le connessioni storiche tra la Baviera e la Grecia e l’influenza dell’ambiente culturale di Monaco nella formazione artistica di de Chirico

Im Jahr 2007 haben zwei Ausstellungen über das Werk und die Gestalt des jungen Giorgio de Chirico in Padua im Palazzo Zabarella und in Rom in der Galleria Nazionale d’Arte Moderna die Aufmerksamkeit der Kunsthistoriker auf sich gezogen. Bei beiden Veranstaltungen trat vor allem die Extravaganz des Künstlers zutage, die die Synthese zwischen Rationalem und Irrationalem verkörpert. Im Alter von circa zwanzig Jahren hat Giorgio de Chirico in München den ästhetischen Wert des Symbolismus erforscht.

Giuseppe Muscardini

Il giovane Giorgio de Chirico attraversò una feconda fase simbolista, caratterizzata da un noviziato artistico strettamente connesso alla sua personale idea della rappresentazione della realtà. Erano gli anni in cui concepiva il reale come una serie di enigmi da sciogliere, di misteri da interpretare. Svelare più che rappresentare, era l’imperativo al quale il giovane obbediva, avvicinandosi per questo alla pittura di Arnold Böcklin e di Max Klinger. La fase simbolista coincise del resto con la formativa esperienza condotta a Monaco, dove tra il 1906 e il 1910 de Chirico si trasferì e dove respirò avidamente quanto ancora restava della cultura del romanticismo tedesco che tanto lo influenzò: a Monaco rafforzò la persuasione secondo cui anche i miti della contemporaneità, pur pervasi di concretezze e pragmatismi, concorrono all’annullamento del tempo e della storia.

Sulle ragioni oggettive che portarono la famiglia de Chirico da Atene a Monaco, valgano le opportune considerazioni espresse in un recente intervento su questa rivista da Alessandro Gambaro, che nell’articolo Da Atene a Roma via Monaco (3/2008, pp. 8-11) descrive la fascinazione dei greci

(o dei residenti in Grecia) per i luoghi bavaresi a motivazioni storiche risalenti agli anni Trenta dell’Ottocento, quando Ottone I di Baviera fu nominato nuovo re di Grecia dalle potenze di Francia, Inghilterra e Russia. L’oneroso compito dei Bavaresi fu di ristabilire l’ordine nella penisola ellenica, martoriata dalla perdurante guerra civile scatenatasi dopo le lotte per l’indipendenza dall’egemonia turca. Volendo approfondire quelle circostanze e contestualizzare la situazione politica che precedette di settant’anni l’arrivo di de Chirico a Monaco, aggiungeremo che benché minorenne, Ottone I di Baviera aveva accettato la corona dopo che Leopoldo di Sassonia Coburgo, a cui era stata proposta, l’aveva risolutamente rifiutata. Ancora agli inizi del Novecento l’immaginario collettivo dei greci era fortemente suggestionato dagli echi del passato.

 

Echi neppure troppo lontani, se si considera che lo spazio temporale è paragonabile a quello che, mutatis mutandis, intercorre fra noi e il 1939. Agiva anzitutto il racconto in effigie dello sbarco a Nauplia del giovane Ottone con il proprio Consiglio di Reggenza, datato al 6 febbraio 1833 ma talvolta registrato dalle cronache al 10 aprile. Si legge in un memoriale a firma di Luigi Peroli, aristocratico di Urbino che militò per l’indipendenza ellenica: Il 10 aprile dello stesso anno 1833, accompagnato da cinquemila soldati bavaresi, sbarcò a Napoli di Romania (Nauplia, n.d.r) il nuovo Re Ottone I, figlio del Re di Baviera, nominato dalle potenze protettrici di Francia, Russia ed Inghilterra, nonché accettato dalla nazione greca, e donò alla nazione la pace tanto desiderata; le truppe alleate si imbarcarono e ritornarono in Patria, lasciando la cura dell’ordine ai Bavaresi. Mitici ed evocati di frequente restavano poi i fasti del 1836, quando Ottone I fece il suo ingresso trionfale ad Atene, salutato dal popolo che ne riconobbe la sovranità con lunghi festeggiamenti: Il giorno 15 di luglio 1836, Sua Maestà il Re Ottone S.mo fece l’ingresso solenne in detta Capitale, ove fu ricevuto con dimostrazioni di giubilo ed affetto, festeggiando tale ricorrenza per otto giorni mediante pubblici spettacoli che usavasi ab antico, cioè lotte pedestri, giostre di cavalieri, finte battaglie, corse, forze erculee, e fuochi d’artificio, imitando anche l’antico fuoco greco, incendiando i vascelli e castelli artificiali, finalmente grazie, doni ed elemosine.


Quando nel 1905 Gemma Cervetto, madre di Giorgio e di Andrea de Chirico, deve affrontare i disagi della vedovanza, è ben consapevole della tradizione storico-culturale che unisce idealmente Atene a Monaco di Baviera. Decidendo di trasferirsi a Monaco, sa di poter offrire ai figli un ambiente idoneo e per di più stimolante per il prosieguo degli studi avviati ad Atene: Giorgio nel campo delle arti figurative, con l’iscrizione alla locale Accademia di Belle Arti sotto la guida di Gabriel von Hackl, e Andrea (che più tardi userà lo pseudonimo di Alberto Savinio) in ambito musicale.

Fino al 1985 le date della permanenza a Monaco di Baviera del giovane Giorgio de Chirico, erano ancora controverse. Si indicava come anno di arrivo in Germania il 1906 con partenza definitiva da Monaco nell’estate del 1909. In realtà le ricerche approfondite avviate in loco da Giovanna dalla Chiesa su registri anagrafici, certificati di residenza, fogli di immatricolazione dell’Accademia, datano alla primavera del 1910 il periodo in cui de Chirico lasciò Monaco, e precisamente il 23 marzo, come si evince dalla registrazione effettuata sulla scheda dello Stato Civile il 9 aprile 1910, dove peraltro è indicato il rientro in Grecia. Tanta puntigliosa precisione, se da un lato può indisporre chi - affezionato all’aneddoto più che all’obiettività scientifica - legge per svago la biografia dell’artista, dall’altro è giustificata dal bisogno di comprovare come le due date facciano la differenza: dal 1° al 15 dicembre 1909 a Monaco si svolse presso la Galerie Moderne di Heinrich Thannhauser, al numero 7 di Theatinerstraße, la “Neue Künstlervereinigung” (denominata NKVM), che in de Chirico favorì un cambiamento di rotta rispetto alle linee artistiche adottate fino a quel momento.

 

È sufficiente porre in sinossi uno stralcio del programma della “Neue Künstlervereinigung”, stilato dai soci fondatori Wassily Kandinsky, Alexej Jawlensky, Gabriele Münter, Adolf Erbslöh, Alexander Kanoldt, Alfred Kubin e Marianne Werefkin, con le annotazioni di Giorgio de Chirico del 1913, per comprendere quante e quali consonanze esistessero fra il movimento artistico nato a Monaco un secolo fa e le modalità con cui il giovane gestiva le sue esplicite attenzioni per l’estetica. Dal programma della NKVM, 1909: Noi partiamo dal concetto che l’artista, oltre a ricevere impressioni dal mondo esterno, dalla natura, raccoglie in continuazione dentro di sé esperienze di vita; e la ricerca di forme artistiche che sappiano esprimere la reciproca compenetrazione del complesso di tali esperienze, che siano prive di ogni aspetto secondario per poter esprimere con tutta la forza il necessario, quindi l’aspirazione a una sintesi artistica, tutto ciò ci pare un concetto che attualmente unisce spiritualmente un numero sempre maggiore di artisti. E de Chirico, in piena fase metafisica, ancora infarcito nel 1913 di teorie ed esperienze sensoriali assimilate a Monaco, scriverà: Bisogna tacere quando si penetra la profondità di un quadro, quando si gira l’angolo dei suoi muri, e non solo dei suoi muri. Allora la luce e le ombre, le linee e gli angoli cominciano a parlare, e anche la musica si fa intendere, la musica nascosta che non si sente. Ciò che ascolto non ha alcun valore, non esiste altro che quello che i miei occhi vedono aperti e ancora di più chiusi.


Questa sua percezione introduce alla rievocazione criptica di figure e oggetti di cui si ha testimonianza ne La Nostalgia del poeta, tela prodotta nel 1914 e dedicata all’amico Guillaume Apollinaire, esposta nel corso della mostra padovana del 2007 e proveniente dalla Collezione Peggy Guggenheim (Fondazione Solomon Robert Guggenheim) di Venezia. Si pensi poi alle opere realizzate nel corso degli anni Dieci, a I saluti dell’amico lontano, tela del 1916 oggi conservata a Verona presso la Galleria dello Scudo, dove campeggia il pane (“il necessario”) insieme ad altri oggetti; o a I pesci Sacri del 1918-1919, appartenente alla Collezione Etro e incredibilmente vicina ai noti soggetti di Filippo de Pisis, con i pesci nell’incarto della spesa adagiato sul tavolo da cucina; o ancora a Il linguaggio del bambino del 1916, oggi a New York nella collezione della Fondazione di Pierre e Gaetana Matisse, con il pane “necessario” ancora una volta in primo piano.


Certo il discorso sulla successione delle fasi pittoriche di de Chirico non si esaurisce trattando solo del periodo iniziale dell’artista. Ma a noi piace pensare ad un giovane che vaga attraverso le strade di Monaco percorrendo la Amalienstraße o la Herzogstraße, dove la famiglia aveva fissato la residenza, ora ad occhi chiusi ed ora aperti, perso nelle atmosfere di luoghi contrassegnati da un’imperante fisicità, con i commerci, i rumori e i profumi di biscotti secchi, di cui era ghiotto, acquistati e subito divorati. Una città caratterizzata da una contrapposta dimensione sognante, che nel giovane tanto s’impose fino ad assumere le espressività precise e riconoscibili della cosiddetta “solitudine dei segni”. A cominciare dalle ben note piazze deserte e assolate, dove torri ed edifici gettano ombre inquietanti. Inquietanti quanto le memorabili Muse.

(2009-2 pg 8)


 


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