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Una perenne sensazione di “estraneità”

Intervista ad Alexandra Obermaier, "straniera" emigrata in Italia

Per scoprire l'autentica oggettività del mondo l'uomo non deve pensare il mondo come una parte di sé, ma deve sentire se stesso come una parte del mondo. (Abbagnano)

M. Cristina Picciolini

Monaco, 16 maggio 2012
INTERVenti (IV): Provieni da una famiglia mista, mamma africana, papà tedesco, sei sposata con un mezzo francese e italiano e hai deciso molti anni fa di vivere nella bella Italia. Cosa è cambiato da quando decidesti circa trent’anni fa, di vivere definitivamente in Italia? Faresti oggi la stessa scelta?
Alessandra Obermaier (AO): Forse è proprio a causa della mia famiglia mista che ho scelto di vivere in Italia. Da quando mi ricordo, sono sempre stata “straniera”. Di fatto e di sentimento.

Quando avevo tre anni siamo andati a vivere in Grecia, dove mio padre lavorava come assistente all'università di Atene. Lì ho iniziato a frequentare l'asilo e mi ricordo ancora della paura per via dell'incomprensione della lingua. Dopo un breve intervallo in Germania siamo ripartiti per andare a vivere negli Stati Uniti per tre anni. Tornati in Germania, mio padre ottenne una cattedra di fisica in un università del sud, zona molto cattolica e arretrata.

I miei genitori scelsero di non vivere in città, ma comprarono una casa in campagna. La differenza culturale e sociale fra noi e i ragazzi dei piccoli paesi della zona era equivalente alla differenza fra i marziani e gli uomini.

Per aggravare la sensazione della "estraneità" si aggiunse la politica. Durante i nostri anni americani era scoppiato il sessantotto con i vari movimenti e la liberazione femminile e i miei genitori erano molto coinvolti nel movimento. Mio padre fu per due anni rettore dell'università “rivoluzionando” costumi e politica. Scandalo! Mia madre invece, oltre a essere portavoce del femminismo aveva comunque da sempre un rapporto di insofferenza verso la Germania. Essendo della Namibia odiava il freddo del clima tedesco e odiava la mentalità tedesca, secondo lei fredda anche questa. Anche lei una sradicata. Tutto ciò ha contribuito a farmi sentire "fuori luogo" ovunque.

IV: Come siete arrivati in Toscana?
Qualche anno prima i miei avevano comprato un casale in Toscana come rifugio dal perenne freddo tedesco. Doveva essere una casa per le vacanze, ma ad un certo punto mia madre si trasferì là. Io ero molto giovane e molto confusa e avevo bisogno ancora di stare vicino a lei. Così decisi di raggiungerla. 

IV: Cosa significa crescere in un ambiente multiculturale e multilinguistico?
AO: Significa fare degli sforzi enormi per adattarsi alle nuove situazioni, ma significa anche essere avanti, avere un orizzonte più largo rispetto agli altri.

IV: Nelle scuole tedesche il bilinguismo non viene visto dalle istituzioni né da molti insegnanti come una ricchezza del bambino bensì come una sua debolezza, in quanto le conoscenze nella "seconda" lingua andrebbero a discapito delle conoscenze nella "prima", ovvero il tedesco. Non ti sembra un paradosso che in un paese come la Germania altamente capace di gestire il problema dell’immigrazione ci sia questa mancanza nelle scuole ?
AO: Da persona che ha vissuto questo problema sulla propria pelle mi dispiace sentire che ancora oggi sia così in Germania. Quando siamo tornati dagli Stati Uniti nel lontano 1970 abbiamo avuto grandi difficoltà. Parlavamo tedesco, ma avendo iniziato la scuola in America sapevamo solo leggere e scrivere in inglese. Di mio fratello, che era un ragazzo tra l’altro estremamente intelligente, l’insegnante diceva che avrebbe dovuto frequentare la “Sonderschule” (scuola speciale ndr).

IV: C’è un momento preciso in cui hai sentito una forte nostalgia della Germania, e hai sentito la voglia di tornare? Se sì, perché?
AO: Non esiste un momento preciso, in genere mi succede quando torno in Germania. Vorrei rimanere. Per me lì tutto è cosi facile, non devo mai sforzarmi di capire come “funziona”. Non è un problema della lingua, sono più le cose non dette che fai fatica a capire. Se parlo con un tedesco, dopo cinque minuti ti potrò dire da dove viene, che socializzazione ha avuto, etc. I tedeschi sono abbastanza chiari quando si esprimono, mentre gli italiani difficilmente ti diranno le cose in faccia, sono molto più sottili ed eleganti. Comunque c’è un bellissimo detto inglese: If you once crossed the ocean, you’re always on the wrong side. Credo che esprime alla perfezione il dilemma di noi sradicati.

IV: Come hai vissuto gli anni del “berlusconismo”? E tu quale straniera hai forse avuto una visione più distaccata dai falsi messaggi dei media?
AO: Sono arrivata in Italia prima dell’era berlusconiana. La cosa che mi ha fatto sempre impressione era l’ammirazione incondizionata degli italiani per una persona, un politico. Per quanto è stato terribile quello che è successo in Germania durante il Terzo Reich, l’educazione fatta dagli americani dopo la guerra ha aiutato molto il popolo tedesco a sviluppare un senso di democrazia e di diffidare la venerazione per un singolo leader.

Forse una delle differenze principali fra la società tedesca e la società italiana è il senso civico, il senso d’appartenenza ad uno stato. Gli italiani diffidano dello stato, dei politici, non credono che il voto veramente possa cambiare le cose, ma poi credono nei miracoli che un uomo carismatico dice di fare. Spero che dopo due grandi delusioni (Craxi, Berlusconi) gli italiani riescano ad imparare che solo loro possono cambiare il loro paese, iniziando nel piccolo, con un senso di responsabilità verso la comunità.

IV Cosa rispondi quando ti domandano: "Ma tu di che paese sei? Da dove vieni?
AO: Non amo molto quando mi fanno questa domanda, perché so che dopo devo spiegare. Ahhh, sei tedesca, ma come mai vivi in Italia? A volte mi viene da dire che sono un “Gastarbeiter”. 

IV: Ti porti dietro un senso di patria? Cosa vuol dire per te la patria?
AO: Il senso di patria mi è venuto con gli anni. Ti ho raccontato che mia mamma non amava la Germania e non ci ha trasmesso l’amore per la patria. Poi i tedeschi hanno una storia recente terribile. Come fai ad essere fiera del tuo popolo se ha compiuto certi orrori? Forse la prima volta che ero felice dei tedeschi è stato quando è crollato il muro di Berlino. Questa rivoluzione pacifica mi ha fatto riconciliare un pochino con loro. Poi, vivendo all’estero, ho potuto apprezzare anche quello che oggi la Germania rappresenta, cioè una società aperta, con un forte senso civico, uno stato e una economia funzionante. 

IV: Potresti immaginare di trasferirti in Namibia in questo momento?
AO: Non so, non sento l’Africa come mio continente. Devo essere sincera, anche se è casa di mia madre, io non ne sono cosi innamorata e credo che l’Europa mi mancherebbe troppo. Qui fai qualche ora in macchina e sei in un paese diverso, con una lingua e una cultura totalmente differente. Adoro le grandi città europee e adoro la cultura europea. Ma mai dire mai nella vita… Ho sempre una valigia pronta!

IV: Pensi che tutti noi siamo veramente "cittadini del mondo"?
AO: Più che altro penso che su questa terra siamo tutti degli stranieri!

 

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