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Categoria: Letteratura
Pubblicato Venerdì, 06 Gennaio 2012 15:14

Un'indagine senza colpevole

Intervista a Francesco Fioretti, autore del romanzo storico "Il libro segreto di Dante"

Der bekannte italienische Schriftsteller Francesco Fioretti gibt uns im Interview Hinweise zum Verständnis seines Bestsellers "Il libro segreto di Dante".

Giulio Bailetti

Monaco, 17 gennaio 2012.
INTERVenti (IV): Prima di tutto, cosa ci fai qui a Monaco?
Francesco Fioretti (FF): Mia moglie Sylvia è monacense, e io sono venuto qui a fare un dottorato di ricerca, naturalmente su Dante.

IV: Veniamo al tuo primo romanzo, "Il libro segreto di Dante". Un libro che è uscito a maggio e che ha venduto, si dice, intorno alle centomila copie. Te lo aspettavi? E a cosa pensi sia dovuto tutto questo successo?
FF: Non me lo aspettavo, e ancora mi chiedo se è vero. A volte penso che il successo sia dovuto fondamentalmente ad un equivoco: nel romanzo c’è la lettura di un codice segreto contenuto nella Divina Commedia che ha fatto pensare a Dan Brown, e l’editore, cui vanno riconosciuti un fiuto eccezionale e una grande capacità di capire i movimenti del mercato, ha puntato tutto su questo elemento, ha deciso lui titolo e copertina e con questo ha invaso le librerie. Benissimo: però il romanzo non è un thriller e con Dan Brown ha poco a che vedere, le recensioni su internet dei lettori di thriller classici sono un’unanime stroncatura. Ma è proprio grazie a tanto rumore che il libro ha trovato alla fine anche i lettori cui era destinato, il suo pubblico vero, ed è per questo forse che ha scalato le classifiche. Eppure, fosse stato presentato per quel che realmente è, avrebbe mai fatto tanto chiasso? Si sarebbe mai aperto una sua strada? Adesso che mi conviene, comincio a credere nel destino...

IV: Cosa ne pensi dei "thriller alla Dan Brown"?
FF: A parte ovviamente le grandi eccezioni, io non amo particolarmente né gialli, né thriller, trovo anzi che siano un genere diseducativo: tutto si riduce alla ricerca del colpevole. Si tratta però di generi di massa, hanno invaso letteratura, cinema e televisione, sembra che non si possa più fare a meno del nostro Tatort (nota etichetta tedesca per una serie di thriller televisivi ndr) domenicale, è diventata una specie di droga. Ma non ci accorgiamo che questa letteratura ci sta alterando lentamente gli equilibri cerebrali. Adesso si usa affrontare ogni problema, e pensare di risolverlo, semplicemente trovando un colpevole, che sia il cetriolo spagnolo o il debito pubblico greco o italiano. In Italia si assiste a tribune politiche in cui destra e sinistra non fanno che attribuirsi a vicenda le colpe della crisi. E ci sono coppie che scoppiano perché ciascuno dei due membri non fa che addossare all’altro tutta la responsabilità dei propri disagi: sto invecchiando, è colpa tua. Questa nostra ossessiva ricerca di un colpevole ci condiziona e ci distoglie da ricerche più profonde, anche se trovare un colpevole non risolve mai nessun problema: la nave sta affondando, sapere che la colpa è del capitano non salverà nessuno dal naufragio. Il giallo semplifica le cose, e forse è per questo che ha successo. Ma la cattura dell’assassino non resuscita la vittima, non ristabilisce mai veramente l’equilibrio.

IV: Allora cos’è il tuo romanzo? Come lo definiresti?
FF: Il mio romanzo inizia come un thriller, c’è una presunta vittima, c’è il mistero - raccontato da Boccaccio - della sparizione alla morte di Dante degli ultimi canti della Commedia. Poi però si sviluppa in modo completamente diverso, si scopre alla fine che non c’è stato alcun delitto, e il presunto assassino, che non ha in verità ammazzato mai nessuno, è tuttavia tra i responsabili del crack finanziario più imponente della storia d’Italia. Ebbene sì: c’è gente al mondo che non ha mai ucciso nessuno, non s’è mai sporcata le mani, ma ha più morti sulla coscienza di qualsiasi banale maggiordomo del giallo classico.  E io non potevo, con la Divina Commedia tra le mani, risolvermi semplicemente all’arresto di un omicida: la Commedia di Dante pone questioni più complesse, sulla giustizia divina più che su quella umana. Oggi potremmo rigirarle così: la storia è giusta? È vero o falso quello che recitano continuamente le Sacre Scritture, che i giusti erediteranno la terra? O è solo il modo in cui noi ci consoliamo, per andare avanti?

IV: Ci limitiamo allora a definirlo un romanzo storico?
FF: Direi di sì, e insieme un Bildungsroman (un romanzo di formazione ndr), perché i protagonisti imparano molto dalla loro indagine. Ed è in realtà un romanzo storico che si interroga, battendo a tappeto il nostro passato, sulla nostra identità, italiana ed europea. Per sapere chi siamo dobbiamo conoscere la nostra storia.

IV: E che quadro ne emerge?
FF: Il conflitto raccontato nel romanzo tra Dante e i guelfi neri è l’eterna vicissitudine italiana che vede opposti da una parte una classe dirigente spesso di corte vedute, di affaristi troppo legati agli interessi del momento per saper anche guardare lontano, dall’altra intellettuali, creativi, artisti, che rappresentano fondamentalmente la base o che la sanno ascoltare, e rifondano continuamente i valori in cui la gente d’Italia crede ancora dopo secoli. Dante per esempio ha già in mente l’Europa, anche se nella forma antica dell’impero. Ma ai suoi tempi era impossibile pensare alla democrazia in termini che esulassero dai confini cittadini; un governo democratico, sin dai tempi dell’antica Grecia, era pensabile solo nella forma ristretta del Comune o della polis, ma non in quella estesa della nazione o addirittura del continente: questo spiega la contraddizione sempre rilevata in Dante tra l’apertura democratica manifestata nel periodo fiorentino e la teoria finale della Monarchia universale che esprime nelle ultime opere. Un governo centrale europeo, sia pure assolutistico, è per lui, paradossalmente, l’unica garanzia di funzionamento della democrazia a livello locale. L’impero tedesco deve essere garante della legge, del diritto, e dunque della pace universale. Insomma la Germania detta le regole e assicura la pace europea, i governi locali l’amministrano nel rispetto delle norme comunitarie, sembra di sentire la Merkel...

IV: Adesso che hai rotto il ghiaccio, scriverai altri romanzi?
FF: Sto lavorando a un nuovo romanzo storico, questa volta sul Seicento, altra crisi economica... Noi italiani siamo i massimi esperti mondiali in fatto di crisi finanziarie, ne abbiamo avute più di qualsiasi altro popolo. Dalla nostra storia, che ciclicamente si ripete, abbiamo molto da imparare, e non siamo i soli. Siamo poi sempre qui, tra una crisi e una rinascita, maestri indiscussi del contropiede. Questa volta con un artista, più che con uno scrittore, Caravaggio: ma sempre con l’idea che le nostre proverbiali ripartenze debbano attingere, di nuovo, a un patrimonio di creatività che bisogna saper valorizzare, perché in fondo è la nostra maggiore risorsa.

IV: Grazie Francesco e buon lavoro.

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