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Categoria: Letteratura
Pubblicato Mercoledì, 01 Dicembre 2010 12:24

Leggere

Il piacere della lettura… dal punto di vista femminile

Frauen lesen viel, und sie lesen mehr als Männer. Aber wie lesen Männer und wie Frauen? Auf diese Frage gibt es unzählige  Antworten, so viele wie es Leser gibt: Lesen ist eine individuelle Tätigkeit. Miranda Alberti erzählt von ihren Erfahrungen und möchte gerne wissen, wie es bei anderen Frauen ist.

Miranda Alberti

Valentino Bompiani diceva che “Un uomo che legge, ne vale due”. Bene. E la donna? Quanto vale una donna che legge? Ne vale due, tre o, magari, zero?

Non dubito che Bompiani mi sorriderebbe e mi direbbe che intendeva anche me. Certo lui i libri li vendeva e penso che ben conoscesse le statistiche che mettono le donne in cima alla classifica dei lettori. Escludermi non sarebbe stato sensato per lui. Eppure penso proprio che lui intendesse l’uomo e non la donna, ossia il professore, il politico, lo storico, l’umanista, lo studente o anche soltanto lo scioperato. Quelli, cioè, che leggono durante il giorno indisturbati, seduti su una consunta poltrona, già ben ripuliti e rifocillati, il capo delicatamente reclinato, due dita della mano che lo sorreggono.

E le donne, invece? Come leggono le donne? Le osservo in treno, nella metropolitana, in tram: leggono avidamente, dimentiche di tutto, tanto da continuare la lettura anche camminando, saltando da un treno all’altro, un dito chiuso nella pagina per riprenderla al più presto. Le immagino in casa divise tra il desiderio di leggere e il senso di colpa per “tutto quello che ci sarebbe da fare” e che viene rimandato silenziosamente pagina per pagina. Non tutte, ma certo molte di quelle donne lettrici, che appaiono in cima alle classifiche, leggono rubando il tempo ai mille impegni del quotidiano, decidendo, con un atto di coraggio, di non farsi ricattare dalle tazze sporche della colazione nell’acquaio, dai panni da stirare nel cestino. Appese ad un loro credo, leggo dunque sono, le donne lettrici non si sognano di valerne due, ma esultano di essere se stesse almeno un paio di ore al giorno.

Io ho scelto la notte. Ho cominciato molto presto e quando il dottore decise che questo danneggiava i miei giovani occhi, mi tolsero la luce dalla camera. Punto. Allora io rubavo candele, quelle bianche e lunghe di una volta. Se ne accorsero, i miei, e tremarono di paura, potevo provocare un insano incendio. Mi ricollegarono subito alla luce elettrica. Menomale. Non smisi più e tutti i miei Dostoevskij, tutti i miei Proust e Balzac li ho letti fra le ventitré e le quattro di mattina. Un paio d’ore dormivo, prima di andare a scuola, mai che fossi veramente stanca.

Di tempo ne è passato da allora. Adesso la notte devo dormire per non crollare di sonno davanti ai miei allievi, non ho più quella sana, giovanile energia. Di quell’esperienza ho conservato un sentimento di sfida e rivincita, di gioia pura e trasgressione che accompagna costantemente la mia lettura come una musica. Lo rinnovo, quel bel sentimento, durante le mie cosiddette vacanze che in questo consistono: leggere tutta la notte senza sentirmi in colpa. Protetta da solide zanzariere, che mia madre ormai convinta, ha fatto installare in tutta la casa, giungo alla fine del mio libro al chiarore della luce dell’alba in un silenzio incantato sospeso fra il mondo dello scrittore e il mio che lentamente rinasce. Il mondo degli impegni, dei doveri, l’angoscioso mondo degli appuntamenti. Qualcuno ha scritto “La gente dice che ciò che conta è vivere, ma io preferisco leggere”*. Sono d’accordo.

*Logan Pearsall Smith, Afterthoughts, 1931


(2010-4 pag 28)

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