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Il Celeste

Lettres italliennes

Corrado Conforti

Monaco, 20 giugno 2015.
«Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!». Così Dante, di cui quest'anno ricorre il 750esimo anniversario della nascita, si lamenta nel XIX canto dell'Inferno di quella che è passata alla storia come la “donazione di Costantino”, vale a dire del regalo della città di Roma che il grande imperatore avrebbe fatto nel 315 a papa Silvestro I.

Il padre delle nostre lettere non poteva saperlo, ma quel documento, come dimostrò poi in modo inequivocabile Lorenzo Valla nel 1440, era un falso risalente forse ai giorni in cui Carlo Magno venne incoronato a Roma imperatore dei Romani. A incoronarlo fu Leone III un astuto romano di modeste origini che, ponendo in capo al re dei Franchi la corona imperiale, sottoponeva di fatto il potere imperiale a quello papale. Si racconta infatti che Carlo, comprendendone la portata  politica, non fosse affatto contento della trovata di Leone.

Quell'atto ebbe conseguenze enormi. Per secoli il papato e l'impero si affrontarono in una lotta senza quartiere che vide il primo ricorrere alla strumento della scomunica e il secondo a quello dell'elezione di un antipapa. L'episodio più significativo fu certamente l'umiliazione di Enrico IV da parte di Gregorio VII a Canossa, a cui seguì però, qualche anno dopo, l'assedio di Roma da parte delle truppe imperiali e la fuga del pontefice in Castel Sant'Angelo. Gli italiani nel frattempo, schierandosi chi col papa e chi con l'imperatore, si divisero in guelfi e ghibellini.

Gli attriti con il tempo si placarono. Crebbe il potere degli stati nazionali e parallelamente diminuì quello dei pontefici, anche perché la nascita delle religioni riformate disinnescò del tutto l'arma della scomunica. Gli stessi re cattolici si mostrarono poi sempre meno disposti a prendere in considerazione le indicazioni dei vari papi. Il cattolicissimo Carlo V nel 1527 non fermò le sue truppe prima che saccheggiassero Roma, né l'altrettanto cattolico Francesco I di Francia sdegnò un'alleanza con il sultano. Insomma, ognuno, anche nei secoli successivi, pensò ai propri interessi, alleandosi con santa romana chiesa soltanto quando gli conveniva. Solo in Italia, a causa della divisione politica e a causa ancora del fatto che il papa, oltre a essere il capo della chiesa, era anche il sovrano di uno stato, la chiesa conservò potere e influenza. Non solo: tale contraddittoria realtà  portò alla nascita di quell'ideologia antiliberale che prese il nome di “clericalismo”.

Occorse ovviamente qualche anno. Ci vollero innanzitutto la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche che portarono al collasso l'Europa dinastica e feudale. Ci volle la Restaurazione che, almeno in effige, ripropose un mondo che ormai non esisteva più, quello dell'unione fra il trono e l'altare. Ed è curioso che i primi significativi atti dettati della nuova ideologia avvenissero ad opera del nipote di Bonaparte, il quale dell'illustre zio portava perfino il nome: Luigi Napoleone (poi Napoleone III). Fu lui a soffocare la Repubblica romana del 1849 e a fermare, diciotto anni dopo, i garibaldini a Mentana. E fu di nuovo in Francia nel 1894 che il clericalismo, venato stavolta da antisemitismo, produsse il caso Dreyfus. E l'Italia? L'Italia non stette certo a guardare. Chi volesse leggersi Civiltà Cattolica di quegli anni, vi troverebbe affermazioni che fanno rabbrividire. Occorse una seconda guerra mondiale e soprattutto l'Olocausto, perché i toni verso la società laica si facessero più concilianti. Occorse soprattutto un grande papa come Giovanni XXIII.

E però il clericalismo non demorse. Anzi. Nel 1969 nacque, su ispirazione di don Luigi Giussani, un movimento clericale di grande successo, Comunione e Liberazione, uno dei cui esponenti più in vista, Roberto Formigoni, già governatore della Lombardia e attualmente senatore della Repubblica, ha dato qualche giorno fa un saggio di quanto la globalizzazione (quella plebea) abbia ormai toccato anche il mondo del cattolicesimo integralista, il quale sebbene criticabile, pure ha prodotto in altri tempi una cultura di tutto rispetto.

Al personale dell'aeroporto che lo informava essere giunto lui troppo tardi all'imbarco e dunque di aver perso il volo, il Senatore, soprannominato peraltro per la sua devozione “il Celeste”, ha replicato con queste celestiali locuzioni “Figli di putt...“, „Banda di cogli..“, „Teste di ca...“. E, non contento, ha rotto pure un telefono e ha promesso azioni legali.

Qualcuno potrebbe farmi notare che può capitare a tutti di perdere la pazienza. Figuriamoci, rispondo io, e aggiungo che a maggior ragione può succedere a uno come il Nostro che è solito perdere anche le ricevute delle sue vacanze milionarie. E però, constato con un filo di malinconia, anche il clericalismo, ahimè, non è più quello di una volta.

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