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Categoria: Mito
Pubblicato Martedì, 04 Aprile 2017 16:45

Logos e Mythos

(Prima parte)

Laura Benatti

Como, 2 aprile 2017.
Logos è una delle parole greche più presenti nei testi greci classici e tra quelle che creano maggiori perplessità agli studenti del liceo classico per le sue molteplici interpretazioni.
Fondamentalmente logos è legata alla razionalità, al pensiero e la gamma dei suoi significati si estende da “parola, discorso” a “ragionamento filosofico e scientifico”, ma non abbiamo minimamente esaurito tutte le sue sfumature.
Da questo termine derivano in italiano tutti quei lemmi scientifici che terminano con “logia”: ad es. allergologia, patologia, psicologia, archeologia, filologia, sociologia, etc…

Mythos parte con significati analoghi ”conversazione, dialogo, disegno, proposito, pensiero” per poi evolversi in “racconto, narrazione, favola, leggenda, mito”.

Perché, quindi, il connubio logos-mythos?

Ci siamo mai domandati perché In anatomia la prima vertebra cervicale della colonna vertebrale si chiama “atlante”? Oppure per quale ragione la sostanza “morfina” è così chiamata per le sue proprietà analgesiche e narcotiche? Perché parliamo di “tendine d’Achille” o ancora di “osso sacro”?

L'atlante, assieme all'epistrofeo, forma l'articolazione che connette il cranio alla colonna vertebrale. 

Atlante era un personaggio della mitologia greca: figlio di Giapeto e di Climene, secondo una versione più curiosa sarebbe stato invece figlio di Zeus e di Climene mentre, secondo Platone, sarebbe stato generato da Poseidone e Clito.

Il suo nome deriverebbe dalla radice greca “tla” che significa “portare, sopportare” e che si ritrova nel latino “tollo” con significati simili; sempre in latino, inoltre, ritroviamo questa in “legislator”, cioè “chi porta una legge”, “elatus”, cioè “elevato, alto, sublime”

Tale personaggio, secondo Esiodo, venne costretto da Zeus a tenere sulle spalle l'intera volta celeste. La punizione gli era stata inflitta per essersi alleato col padre di Zeus, Crono, che aveva guidato la rivolta contro gli dèi dell'Olimpo.

Nell'Odissea viene descritto poeticamente come uno dei pilastri del cielo:

“L'immortal figlia di quel saggio Atlante,
Che del mar tutto i più riposti fondi
Conosce e regge le colonne immense
Che la volta sopportano del cielo” (Odissea I, vv.77/80)

Al di là dei limiti del mondo c'era un giardino incantato, dove cresceva un melo dai frutti d'oro, dono di nozze per Era, moglie di Zeus. Il giardino era quello delle Esperidi, le bellissime figlie di Atlante e di Espero, la stella della sera. Il re di Micene, Euristeo, pretese da Eracle proprio quei frutti. L'eroe chiese il percorso per il giardino delle Esperidi a Nereo, una divinità marina, ma quello dapprima cercò di eludere le domande, poi assunse svariate forme per spaventarlo. Ma Eracle non desistette e Nereo fu costretto ad insegnargli la strada con il saggio consiglio di non raccogliere i frutti con le sue stesse mani. Eracle riprese il cammino fino a incontrare, là dove tramonta il sole, Atlante che reggeva la volta celeste. Eracle pensò di mandare lui a cogliere i frutti sacri, sia perché essendo altissimo, avrebbe scavalcato facilmente il recinto, sia perché era il padre delle Esperidi, custodi del giardino. Dopo alcuni rifiuti, Atlante si recò nel giardino delle Esperidi, lasciando temporaneamente la volta del cielo sulle spalle di Eracle. Tornò ben presto con tre bellissimi pomi d’oro, ma non volendo più assumersi sulle spalle il gravissimo peso della volta celeste propose ad Eracle di portare lui stesso i frutti al re Euristeo. Ma l'eroe capì che il gigante non sarebbe più tornato, lasciandolo lì per sempre. Finse di accettare, dicendo che Atlante si riprendesse il cielo solo per un attimo, mentre egli si sarebbe messo sulle spalle un cuscino per reggere il peso più agevolmente. Atlante cadde nel tranello. Quando si fu ripreso il cielo, Eracle afferrò i tre pomi e fuggì di corsa. Secondo una tradizione, Atlante fu pietrificato da Perseo che gli mostrò la testa di Medusa per punirlo di non averlo ospitato e così il titano si trasformò nell'omonima catena montuosa che si trova nel nord dell’ Africa.

In realtà questo mito rappresenta tutte le difficoltà e tutti i dolori fisici o psicologici che l’uomo deve affrontare, suo malgrado, tutti i giorni e che cerca, umanamente, se possibile, di evitare, ma inevitabilmente dovrà affrontarli, perché nessuno lo farà al posto suo.

 “Il cielo è una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun posto”( Blaise Pascal).

 

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