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Homo homini lupus… anche in campagna

Il percorso di „formazione“ del perfetto emigrante australiano

Das Leben der Menschen, die außerhalb des eigenen Landes Arbeit suchen, ist nicht immer einfach. Sogar in toleranten und hoch entwickelten Ländern wie Australien erweist sich die Integration als oft sehr problematisch.

Sasha Deiana

Rovigo - Anche in Polesine gli immigrati si preparano a incrociare le braccia il primo marzo, giornata nazionale di sciopero contro il razzismo, con iniziative pubbliche e lo stop a qualunque spesa per un’intera settimana. Nelle scorse settimane a Rovigo sono nati ben due comitati promotori, formati da cittadini stranieri, associazioni attive nel settore immigrazione e diritti, semplici cittadini sensibili.
L’obiettivo è comune: fare sì che una parte della città si fermi, per fare capire come sarebbe la nostra società se venissero a mancare gli immigrati.
Una delegazione della commissione per le libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo si è recato a Rosarno dal 15 al 17 febbraioI fatti di Rosarno risalenti ad alcuni mesi fa hanno fatto discutere tutta l’Italia mettendo un punto interrogativo su quello che è il comportamento di molti proprietari terrieri, i quali legittimano precarie condizioni di vita e salari discutibili agli immigrati che raggiungono l’Italia, soprattutto dalla vicina Africa ed Est Europa, per lavorare nelle nostre campagne. In Trentino Alto Adige sono stati messi a disposizione decine di alloggi moderni e funzionali adibiti esclusivamente a cittadini comunitari e non, che si dedicano stagionalmente alla raccolta della frutta (prevalentemente mele), nelle vallate trentine. I proprietari delle abitazioni hanno l’obbligo di affittare queste dimore, probabilmente piccole ma pulite e assolutamente accessoriate, solo alla categoria sopra indicata.
A circa 10.000 Km dal verde, fresco e rigoglioso Trentino Alto Adige c’è l’Oceania, uno dei continenti che forse più affascina gli europei per la sua modernità, correttezza nei rapporti umani, multietnicità e convivenza eterogenea, spesso associato all’eldorado per eccellenza nell’immaginario collettivo.
Lo scopo della visita è stato quello di revisionare le norme comunitarie in materia di immigrazione e lavoro e chiedere maggiori garanzie per i braccianti immigrati che popolano le aree rurali del nostro Paese.

Dopo i fatti di Rosarno e il moltiplicarsi di episodi di razzismo, la decisione di reclamare dignità: «L’unico modo per farci notare e rispettare è quello di toccare le tasche», spiegano i promotori del Comitato Primo Marzo Rovigo”. (Tratto dall’articolo Gli immigrati: «Pronti allo sciopero» di Francesco Casoni, Corriere della Sera, 11 febbraio 2010).

Forse non tutti sanno, però, che una condizione necessaria o meglio obbligatoria per un qualsiasi immigrato europeo, italiano, tedesco, svedese o quant’altro che decida di trattenersi in Australia per un periodo superiore ai 12 mesi è quella di lavorare per almeno 88 giorni in una struttura riconosciuta a livello governativo in qualità di bracciante diretto (contadino), addetto alle costruzioni (muratore), pescatore o ricercatore di perle.
Molti giovani che sono interessati a estendere il proprio visto si vedono quindi costretti ad abbandonare le città e recarsi in una delle aree previste dal governo australiano (lontane solitamente centinaia di chilometri dai centri urbani abitati) per dedicarsi ai lavori sopra elencati.
Sembrerebbe un’iniziativa assolutamente interessante, innovativa e giusta, letta così; eppure la situazione è assai più complessa.
Il farmer, cioè il proprietario della fattoria e della campagna presso cui il o la giovane offriranno servizio, non ha alcun obbligo di pagare il lavoratore. I suoi unici compiti sono quelli di provvedere ad un accomodation e a un pasto quotidiano.
Il nostro agricoltore solitario, che ha trascorso tutta la sua esistenza in una desolata fattoria lontana almeno 250 km dal primo vero centro abitato e circa 30 km da un comunissimo supermercato, spesso ha una visione della modernità grottescamente distorta, ma sa perfettamente come sfruttare la manodopera, non a basso costo, ma gratis! Servendosi quindi delle associazioni affiliate al governo australiano può facilmente beneficiare di lavoratori “disperati” offrendo loro il minimo indispensabile per la sopravvivenza.
Molti se la cavano con un caravan datato, maleodorante, impolverato e sudicio, naturalmente in lamiera che sotto il sole estivo dell’Australia può raggiungere anche i 40-45 gradi con vista, se si è fortunati, sul pollaio.
I servizi igienici, naturalmente, nel caravan non ci sono quindi il consiglio che spesso viene dato dai proprietari ai lavoratori “disperati” (speranzosi nell’estensione del visto) è di arrangiarsi come si può, ossia fare i propri bisogni nei vasti spazi esterni ed incolti che la fattoria offre. Naturalmente per le cose più urgenti vi è anche una toilette-latrina interna alla baracca in cui il contadino vive.
Fino a qui va tutto relativamente bene: il caravan si può pulire, la toilette preoccupa un po’, ma ci si può organizzare.
I volti cominciano a essere più crucciati quando arriva l’ora dei pasti e la necessità assoluta di abbeverarsi. In molti stati australiani uno dei problemi maggiori è la siccità, l’acqua quindi non va assolutamente sprecata né per lavare se stessi (se non in maniera assolutamente sbrigativa e sommaria), né per le stoviglie, figuriamoci per pulire casa o tirare lo sciacquone delle toilette. Naturalmente, però, non si può vietare ai lavoratori di bere. L’acqua che giunge ai rubinetti solitamente proviene da grossi bacini interni alla fattoria spesso parzialmente secchi durante la stagione estiva. L’acqua viene filtrata e successivamente pompata attraverso le tubature sino ai rubinetti arrugginiti della baracca: il colore che la caratterizza è giallastro, il sapore rancido, senza dimenticare la singolare sensazione di impolverato che lascia in bocca una volta ingoiata. Il supermercato più vicino dista decine di chilometri quindi acquistare acqua in bottiglia è pressoché impossibile, soprattutto perché spesso il lavoratore “disperato” non possiede un mezzo proprio.
Il farmer sa gestire perfettamente i propri soldi e risorse; diversamente da quanto si è soliti immaginare egli è poco generoso quindi i pasti sono a base dei prodotti offerti dalla propria terra, difficilmente vengono acquistati in negozio. Il che non sembra nemmeno tanto male, il problema è che spesso egli nutre un’inquietante tolleranza o addirittura indifferenza nei confronti di insetti e ovipari che comunemente popolano la sua casa e il giardino, tra cui larve, scarafaggi (detti comunemente cockroach) e formiche. Queste ultime in Australia possono raggiungere delle misure inimmaginabili per un europeo, più lunghe di una falange, con busto grosso e nero, velocissime e aggressive. Non è inusuale trovarsele nel piatto durante la cena, ed alla vista disgustata ma timidamente compiacente del lavoratore “disperato” il farmer sdrammatizza spiegando scherzosamente che la formica rende più piccante la pietanza.
Ultima difficoltà, ma non meno importante, che deve affrontare il neo coltivatore è la tremenda solitudine. Un farmer solitamente ospita uno o al massimo due persone, non di più. Essendo stato abituato da sempre ai lunghi silenzi della campagna egli si sente a proprio agio con la bocca chiusa, mentre il giovane novellino fa per la prima volta i conti con i propri pensieri per ore e ore sia durante il lavoro che durante le pause. Per quanto possa apparire patetico, il rumore del vento è l’unica magra consolazione a cui quest’ultimo si deve saper abituare.
La differenza tra un cittadino europeo in Australia con l’aspettativa di estendere il visto ed un immigrato comunitario o clandestino extracomunitario che si reca in Italia con ambizioni di vita migliori non è molto diversa. Forse il giovane che esperisce la difficile prova delle fattorie australiane ha la possibilità, male che vada, di tornarsene a casa, l’immigrato clandestino che tenta la fortuna in Italia no, ma le condizioni di vita e lavoro sono drammaticamente simili se non addirittura peggiori: non ricevere un salario è come rimanere senza terra sotto i piedi.
Non si pensi che la mole di lavoro sia diversa: un lavoratore “disperato” raccoglie da solo giornalmente circa un quintale o un quintale e mezzo di frutta e il pomeriggio passa il tempo a suddividerla e impacchettarla sotto potenti luci (per rendere visibili le ammaccature) che si sommano alla calura estiva delle immense distese australiane.
Il sistema è stato creato perfettamente ed ha sviluppato un business nel settore dei lavori “che nessuno vuol più fare” sconvolgente. Celate dietro l’escamotage “dell’esperienza culturale”, queste associazioni vincolate al reparto dell’immigrazione australiana, danno la possibilità a farmer senza scrupoli di sfruttare fino all’osso ragazze e ragazzi volenterosi senza offrire loro un soldo e facendoli vivere in situazioni di indecente degrado e disagio, permettendo loro di ottenere così un profitto inimmaginabile durante l’arco della stagione lavorativa.
Questo sembra essere un vizietto che caratterizza i paesi di origine britannica da un bel po’.
Gli anglosassoni da sempre hanno incrementato la propria economia con lo sfruttamento degli extracomunitari ed è inutile dire che Inghilterra, Stati Uniti, Sud Africa, Canada e Australia siano le civiltà più sviluppate al mondo.
Forse lentamente anche il nostro piccolo Belpaese, seguendo il modello anglosassone, sta iniziando a mettersi in carreggiata emancipandosi economicamente, paradossalmente, valorizzando e sfruttando le potenzialità offerte dal fenomeno dell’immigrazione al fine di trarne benefici e profitti, infischiandosene delle conseguenze umane da esso derivate.

(2010-2 pag 9)

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