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Categoria: Turismo
Pubblicato Venerdì, 10 Dicembre 2010 08:05

I volti di Denpasar

Impressioni dalla più popolosa città di Bali, isola indonesiana in bilico tra turismo e tradizione

Ein Italiener beschreibt seine Eindrücke beim Besuch der Stadt Denpasar auf der indonesischen Insel Bali. In den Urlaubs- und Ferienparadiesen bleiben den Touristen aus der westlichen Welt manchmal viele Details verborgen.

Sasha Deiana

L’odore è penetrante e rivoltante, le fogne scorrono copiosamente lungo la strada, la verdura scartata nei giorni precedenti imputridisce sotto il pallido sole equatoriale, il fetore esalato dal grasso di carne macellata e dimenticato da giorni in grandi recipienti circondati da mosche fa venire il voltastomaco, ma la gente non se ne cura, ha altro a cui pensare, è iniziata una nuova giornata e l’importante è vendere, concludere “affari”. Le cose non vanno bene, i soldi scarseggiano, ma quando non si hanno altri termini di paragone il dolore è meno pungente. La televisione, la pubblicità, le telenovelas vogliono: qui c’è da lavorare, non c’è tempo per piangersi addosso. Questo comunicano i volti e gli sguardi che si incrociano lungo le  strade e i mercati di Denpasar, la  più importante cittadina di Bali,  isoletta, da pochi anni “turistica”,  situata nel cuore dell’Indonesia.
La gente si sveglia, o forse semplicemente  si alza da quelle scomode  piattaforme che non possono  certo definirsi letti, ogni mattina,  con l’unico scopo di vendere,  di trattare sul prezzo, di essere più  furba dell’acquirente, indonesiano  o turista che sia.  Forse non si tratta solo di vendere  e contrattare, lo scopo è  anche quello di provare quella piacevole  sensazione di orgoglio che  si ha quando, dopo aver mostrato le proprie capacità coercitive possono dire ciò che descrivendo il prodotto, si capta, negli occhi dell’altro, una sottile aria di convincimento: ecco, quello è il momento più bello ed emozionante, forse anche più del pagamento stesso. Ci si sente bravi venditori, intelligenti, astuti, anche se completamente analfabeti.

I volti che si incontrano lungo le strade di Denpasar appaiono segnati dal tempo, poco curati, talvolta stanchi, sudati e pensierosi ma gli occhi mostrano curiosità. Forse si tratta solo di spirito di sopravvivenza o adattamento, ma bisogna essere tra i primi a capire cosa stia succedendo attorno, altrimenti si rischia di essere tagliati fuori dal “business” che potrebbe cambiare la giornata. L’arrivo di un turista non orientale (a meno che non sia giapponese) è, per esempio, motivo di grande fermento da parte di tutti. Sguardi smaliziati lo scrutano con cura, una battuta di scherno col vicino e subito dopo ci si avvicina cautamente salutando con garbo e chiedendo il paese di provenienza. All’interno del grande mercato di Denpasar esistono delle “figure professionali” che fungono da guida per i neo arrivati: lo scopo è quello di approcciare il cliente, illustrare   le varie aree del mercato, capire cosa egli stia cercando, avvicinarlo alla bancarella opportuna ed aiutarlo a concordare il prezzo col venditore. Semplice e naturale, ma per un turista curioso, interessato solo a catturare qualche scatto fotografico, può risultare stressante e spesso addirittura irritante. Tutto questo è normale, considerando che l’improvvisata guida probabilmente   percepirà una piccola percentuale dal venditore che riuscirà a concludere l’affare ed una lauta mancia (un dollaro americano) dal turista stressato, affinché questa si allontani. I salari sono molto bassi, di conseguenza ognuno si arrangia come può.

Basti pensare che un autista di auto private, dipendente in un’importante compagnia locale (appartenente  forse alla classe medio borghese nella società balinese), guadagna mediamente 50.000 rupie al giorno, l’equivalente di circa 5 dollari e 50 centesimi americani, o, per dirla all’europea, 3 euro e 50 centesimi. Il costo della vita è comunque, come in ogni paese in via di sviluppo, commisurata agli stipendi, quindi molto basso. Non si trovano ristoranti per balinesi, o meglio i ristoranti   “per balinesi” esistono solo per i turisti stranieri, poiché nella cultura locale si mangia a casa, o meglio sulla strada davanti a casa, seduti per terra tra le offerte floreali che ogni mattina vengono posate davanti alla porta d’entrata, che in realtà spesso non esiste: queste abitazioni, infatti, assomigliano a piccoli garage pieni di cianfrusaglie dove si lavora, si mangia, si dorme e si chiacchiera. Fa troppo caldo e umido per vivere in casa e poi perché chiudersi dentro se la vita è fuori, sulla strada dove la gente passa, racconta, chiede, contratta, lavora, scherza, porta le ultime novità dal villaggio vicino. Attraversando di notte le arterie principali che portano verso la città si scorgono le piccole abitazioni illuminate da un’unica desolante luce fioca al neon che permette a malapena di distinguere il volto del proprio vicino. Ma non ha importanza nemmeno la luce incerta o i cani denutriti che fanno da cornice, le case-stanze sono spesso abitate da più persone: cinque o sei ciclomotori (principale mezzo di trasporto per i balinesi) parcheggiati davanti ai piccoli alloggi, mostrano che lì c’è vita. Il senso della famiglia e dell’amicizia è molto forte, ci si aiuta l’un l’altro, si vive assieme, si mangia assieme e si pianifica il giorno seguente: c’è sempre qualcosa da dire o raccontare. Non c’è nemmeno più bisogno della televisione, perché tanto narra realtà troppo lontane e futili per riscuotere l’interesse degli abitanti di Denpasar.

 

(2010-1 pg 28)

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