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Categoria: Dossier
Pubblicato Sabato, 20 Novembre 2010 20:30

La Repubblica di Weimar

Fallimento di una democrazia

1918 – 1933: Anfangs hoffnungsvolleJahre, die mit dem Scheitern einer noch unerfahrenen und unentschlossenen Demokratie endeten. Die Unfähigkeit der Regierung, in tiefster Weltwirtschaftskrise sozial tragbare Maßnahmen gegen starke und undemokratische Interessensgruppen durchzusetzen, lässt der Demagogie freien Lauf. Die konservative Bourgeoisie setzt auf die rechte Karte. Hitler beginnt, seine Ordnungsvorstellungen zu installieren.

Andrea Maria Palamidessi

Nel 1930 il governo del socialdemocratico Müller, che esprimeva la volontà degli elettori tedeschi, rassegnò le dimissioni, lacerato dai conflitti tra sindacalisti e imprenditori. Il Presidente Hindenburg cercò invano con Brüning, Papen e Schleicher delle soluzioni alla cronica ingovernabilità, mentre i nazisti, che raccoglievano voti grazie al disagio causato dalla crisi economica, convincevano le classi dominanti a farsi coinvolgere nel governo del Paese.
Il 30 gennaio 1933, Hindenburg nominava cancelliere Adolf Hitler, che in meno di sei mesi riuscì a trasformare quella che formalmente restava una democrazia pluripartitica in un sistema totalitario a partito unico.

Una crisi radicale aveva stroncato la giovane democrazia tedesca. Ma la Repubblica era stata in pericolo anche nei suoi primi anni e le minacce erano state così violente da sfiorare la guerra civile. Perché, di fronte a questa nuova crisi, il sistema crollò invece di reagire?
Ciò che accadde nel 1933 può essere attribuito a molte cause: dagli errori della classe politica, favoriti dallo sconforto creato dalla situazione economica, all’efficacia della strategia nazista; ma la responsabilità della distruzione della democrazia non può essere addossata solo ai nazisti e ai loro alleati, ma anche a tutti coloro che fino all’ultimo avrebbero potuto prendere decisioni politiche come i partiti repubblicani. La Repubblica di Weimar era già nata su basi sociali instabili, in una Germania sconfitta e che aveva affrontato una troppo rapida trasformazione industriale. I nuovi responsabili politici, abituati a non poter partecipare al governo, continuarono a insistere sulle ideologie invece di cercare un compromesso con gli altri partiti, determinando un anomalo contrasto tra ogni gabinetto e la sua base parlamentare. Il Parlamento non divenne il centro di formazione della volontà dello Stato, mentre si rafforzavano l’autonomizzazione e la diffidenza delle istituzioni, dall’apparato burocratico alle forze armate, fedeli quasi tutti alle loro vecchie idee antidemocratiche.

 

La stessa Costituzione di Weimar combinava il principio della rappresentanza popolare con forti spinte plebiscitarie e questa ambiguità contribuì a portare i partiti democratici a un atteggiamento irresponsabile, visto che la soluzione a ogni crisi di governo sarebbe comunque alla fine venuta dal Presidente. L’irrigidimento ideologico dei partiti rafforzò a sua volta le già profonde fratture sociali e determinò una scarsa adesione al sistema democratico da parte della stessa base dei partiti, poco preparata a partecipare alla vita politica, e il parallelo graduale allontanamento del consenso elettorale dai partiti repubblicani. Comunque, nei primi difficili anni, minacciate da sinistra e da destra, le forze politiche e sociali avevano manifestato una disponibilità a difendere il sistema democratico che si era dimostrata sufficiente, sia pure tra notevoli difficoltà, a tenerlo in vita, facendo fronte prima ai tentativi di rivoluzione comunista, poi ai propositi di restaurazione autoritaria e alle spinte separatiste di molte regioni; e anche se i pesanti adempimenti imposti dal trattato di pace di Versailles e l’ostilità francese alla ripresa tedesca, culminata nell’occupazione della Ruhr nel gennaio 1923, avevano aggravato i fattori di tensione interna al nuovo Stato, non si verificò il collasso da molti temuto, e che tanti nemici esterni e interni si auguravano. Anzi, dalla fine del 1923, grazie soprattutto alla politica di Stresemann, la Germania ricominciò a godere di una relativa tranquillità sia all’interno che all’esterno, riammessa in posizione paritaria nella comunità internazionale. Tuttavia, il difficile compromesso tra lavoro e borghesia sarebbe stato capace di affrontare le emergenze solo se le regole democratiche si fossero basate su un consenso diffuso, che venne a mancare di fronte alla grande crisi economica mondiale della fine degli anni ’20. I fattori internazionali aggravarono la già instabile situazione economica tedesca, causata soprattutto dal massiccio e sconsiderato intervento pubblico, inasprendo il conflitto tra le parti sociali per la distribuzione del reddito. Così la crisi economica si spostò facilmente e rapidamente sul piano politico, innescando un inarrestabile processo di delegittimazione delle istituzioni democratiche che portò, nel giro di pochi anni, alla loro completa demolizione. In questa ennesima linea di frattura si inserì un fattore dirompente: il movimento nazista, forte anche di un appoggio di massa e di complicità e acquiescenza tra le classi dirigenti.

Il crollo della grande coalizione guidata da Müller, fallimentare tentativo di soddisfare i diversi interessi senza risolvere i problemi alla radice, segnò la fine del compromesso tra le parti sociali su cui era nata la democrazia. I partiti continuavano a preferire le considerazioni politiche alla stabilità del governo e di fronte alla disaffezione politica delle masse cominciarono a fuggire dalle responsabilità. Mentre i tedeschi delusi si lasciavano convincere da Hitler in numero sempre maggiore, attribuendogli il 18% dei consensi nel settembre 1930 (contro il 2% del 1928), i vertici dello Stato non fecero nulla per proteggere il regime, e non solo i grandi industriali e proprietari terrieri ma anche la maggior parte del ceto medio si era convinta che l’eccessivo carico sociale sull’economia potesse essere superato solo allontanandosi dalla democrazia parlamentare, soffocando le pretese dei lavoratori, cui lo Stato aveva fatto promesse che non poteva più mantenere. Segno visibile dell’indirizzo antidemocratico nei gruppi di potere fu lo scioglimento del Parlamento deciso nel 1930 da Hindenburg e dal nuovo cancelliere Brüning, che cercò in ogni modo di sottrarre all’Assemblea l’indirizzo politico, ma, esasperando il problema delle riparazioni, perse gran parte del consenso alla sua azione di governo che con una politica restrittiva aveva aggravato, invece di risolverli, i problemi economici: l’impossibilità di venire a capo della crisi con mezzi consensuali accrebbe la radicalizzazione politica e le stesse difficoltà economiche. Papen arrivò alla definitiva rottura con il sistema parlamentare, assecondando le aspettative dei grandi interessi industriali e agrari; quello di Schleicher fu invece un tardo tentativo di riequilibrare la copertura socio-politica del governo superando l’alternativa capitalismo-comunismo, che si scontrò con quelle aspettative. I partiti democratici avevano una base di consenso non sufficientemente solida, ma la maggioranza dei tedeschi non voleva rinunciare a partecipare alla vita politica. Non si poteva quindi tornare al sistema autoritario di Bismarck, mentre imporre una dittatura militare era troppo rischioso.

Visto che il nazismo era l’unico movimento di destra ad aver raccolto notevole sostegno nelle masse, i vertici dello Stato ed i gruppi di interesse economici si illusero di poterlo utilizzare per la progettata involuzione conservatrice, facendolo partecipare al governo ma sotto stretto controllo: si spiega così la fatale politica delle progressive concessioni in bianco ai nazisti nel corso del 1932, soprattutto lo scioglimento del Parlamento e la revoca del divieto alle SA. Senza la Grande Depressione, quindi, l’affermazione della dittatura nazista non sarebbe probabilmente stata possibile. L’arrendevolezza o la complicità di molte forze politiche e sociali nei confronti di Hitler fu causata dal diffuso senso di insicurezza, e il sistema politico era ormai talmente debole da non riuscire a dare una risposta democratica ai problemi sul campo. La democrazia di Weimar era già entrata in crisi prima dell’attacco nazista, ma proprio per questo non aveva i mezzi per difendersi. Con la Costituzione del 1919 era stato creato uno strumento, che poteva essere usato per proteggere la democrazia (come aveva fatto il Presidente socialdemocratico Ebert durante la crisi del 1923) oppure, pur rispettandone le regole formali, per distruggerla, come fecero Hindenburg e la sua cerchia di fronte alla paralisi delle forze politiche democratiche che non riuscivano a esprimere una comune volontà a salvaguardia delle istituzioni.

I poteri straordinari del Presidente diventarono così la normale forma di governo. La soluzione di affidare il governo a Hitler fu però in dubbio fino all’ultimo e fu attuata proprio quando i suoi successi elettorali avevano subito una battuta d’arresto, dal 37% di luglio al 32% di novembre 1932; neanche nel marzo 1933, quando le elezioni non furono più libere, la maggioranza dei tedeschi si espresse in suo favore, ma solo il 44%. La distruzione della Repubblica di Weimar non è stata inevitabile: la scarsa resistenza degli organi statali di fronte all’attacco del nazismo e i suoi successi elettorali dimostrano come il crollo di un sistema politico non dipenda solo dalla forza dei suoi oppositori, ma anche e soprattutto dalla debolezza dei suoi sostenitori. La democrazia aveva basi troppo fragili nella popolazione e nei gruppi d’interesse: per questo fu possibile distruggerla con mezzi apparentemente legali. Il peso morale e materiale della sconfitta nella prima guerra mondiale, la necessità di costruire un nuovo sistema politico, le divisioni sociali, il conflitto tra capitale e lavoro, la disoccupazione, le spinte antidemocratiche nelle aristocrazie e nel ceto medio: tutto questo ha distrutto la Repubblica di Weimar. Il tentativo di eliminare la contraddizione tra modernità economica e culturale e arretratezza politica della Germania finì nella dittatura per la mancanza di una ferma volontà democratica da parte dei vertici politici e in vasti settori dell’opinione pubblica. Hitler non fu la causa, ma il beneficiario del crollo della democrazia.

ANDREA MARIA PALAMIDESSI
Nato a Roma nel 1974 si è laureato nel 1997 in Giurisprudenza presso l'Università di Roma "La Sapienza". Entrato nella carriera diplomatica nel dicembre 1999, è Console Aggiunto a Monaco di Baviera dal gennaio 2002. Nel 2003 si è laureato in Scienze Politiche presso l'Università di "Roma Tre" e si sta attualmente specializzando in Relazioni internazionali presso la stessa Università. Interessi accademici: storia delle istituzioni politiche, storia del diritto medievale e moderno, storia delle relazioni internazionali, storia medievale.

(2004-1 pag 17)

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