Dettagli
Categoria: Gastronomia
Pubblicato Giovedì, 02 Dicembre 2010 07:49

Caffè con variazioni

Lettres italiennes

Bei Espresso und Cappuccino unterscheidet der Italiener zwischen „normale o ristretto“, „macchiato o corretto“ und „chiaro o scuro“. Nach dem Motto „jedem das seine“ spiegelt diese Menge von Möglichkeiten das italienische Geschick wider, sich nie einigen zu können.

Corrado Conforti

Bastano a volte delle piccole cose, abitudini, tic, fatti insignificanti di ogni giorno, per delineare, spesso anche in modo preciso, l’immagine di un popolo.

Siete mai entrati in un bar in Italia? Dando per scontato che la risposta è sì, vi chiedo allora: avete mai notato quanto un bar italiano sia lo specchio del Paese?

In Italia il bar è un luogo di transito: si entra, si paga, si consuma, si esce (a volte prima si consuma e poi si paga, ma la durata della sosta non cambia). Difficilmente ci si trattiene a lungo. Gli avventori sono di due tipi: quelli di passaggio e quelli che potremmo definire stanziali. Questi ultimi sono di solito persone che lavorano in zona, le quali, per ovvie ragioni, non si trattengono a lungo. Li si riconosce subito per la confidenza che hanno con il barista. Le loro chiacchiere però si limitano a rapide battute: brevi commenti sul campionato di calcio o pungenti ma bonarie prese in giro di qualcuno dei presenti (spesso lo stesso barista) il quale di solito accetta con un sorriso e un’alzata di spalle quella che, seppure sapida, è in fondo una dimostrazione di affetto. Accanto agli avventori loquaci, ci sono quelli silenziosi. Questi ultimi, se si trattengono, amano immergersi nella lettura del giornale che è lì a disposizione di chiunque. Con un cornetto o un tramezzino in mano, li si vede piegati sulla gelatiera che, data l’ampiezza della superficie, è il posto ideale per sfogliare un quotidiano. Quello che io trovo, però, affascinante è la variazione delle ordinazioni, variazione che avviene all’interno di un ventaglio di scelte in realtà abbastanza limitato. Ci ho fatto caso l’estate scorsa sostando in un bar di Roma, mentre, appoggiato alla gelatiera (il ritratto abbozzato sopra è anche il mio), sfogliavo il più letto quotidiano della capitale: Il Messaggero.

Sono entrati due uomini e una donna, tutti e tre sulla quarantina e probabilmente negozianti o commessi della zona in attesa di aprire il negozio. Il primo ha ordinato un caffè freddo, il secondo un caffè ristretto, la donna ha chiesto un cappuccino chiaro. Dopo un po’ un quarto avventore ha chiesto un caffè macchiato, e il barista si è subito premurato di chiedergli: macchiato freddo o macchiato caldo? Uscito dal bar mi sono divertito a fare un piccolo conto delle variazioni possibili. State a sentire.

Le ordinazioni di partenza sono fondamentalmente tre: caffè, cappuccino e – meno frequentemente – caffellatte. Il primo può essere: normale (ma la cosa non si specifica formulando la richiesta al barista), ristretto o lungo. Ogni caffè può essere: macchiato (con latte caldo o freddo) oppure corretto con grappa, cognac, sambuca o mistrà. Dando alla correzione il valore di una sola variazione (grappa o altro che sia, il risultato è sempre il medesimo), arrivo a contare dieci tipi di caffè, ai quali aggiungo anche il caffè freddo (sebbene questo si beva solo nei mesi estivi), il quale a sua volta può essere già preparato, oppure fatto sul momento; nel qual caso si chiama, con un orribile anglicismo nel quale si riconosce con difficoltà il verbo to shake, “scecherato”.

Passiamo al cappuccino. Qui le variazioni sono solo tre: chiaro (che si oppone a normale, cosicché la variazione “scuro” non esiste), tiepido e infine “senza schiuma”, locuzione questa che degrada, secondo me, il cappuccino al livello del caffellatte. Cos’altro è, altrimenti, un cappuccino senza schiuma? E a proposito di caffellatte: questo può essere chiaro, scuro, tiepido e freddo. Le variazioni finiscono qui, ma si arricchiscono quando si passa al momento della dolcificazione. Sul banco si trovano infatti: zucchero di barbabietola, zucchero di canna, dolcificante solido e dolcificante liquido; senza contare poi che c’è chi non usa dolcificare nessuna delle bevande. Ah, dimenticavo: a volte sul banco si trova anche una grossa saliera (non so come definirla altrimenti) contenente cacao in polvere, con la quale si usa dare alla schiuma del cappuccino quella che a Roma chiamano “spolveratina”; termine quanto mai improprio visto che con il verbo spolverare si intende la rimozione della polvere e non la sua addizione.

Tutta questa fantasia e pignoleria italica m’è tornata in mente ascoltando alla radio le cronache sulle vicissitudini parlamentari dell’ultima legge finanziaria. Non riuscivano a mettersi d’accordo neanche all’interno della maggioranza di governo.

Per spiegarsene la ragione basta fare una breve sosta in un qualsiasi bar del Bel Paese.

2007-1 pg 10

 

 


Joomla Plugin
Cookies make it easier for us to provide you with our services. With the usage of our services you permit us to use cookies.
More information Ok Decline