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Categoria: lettres italiennes
Pubblicato Mercoledì, 13 Luglio 2016 19:49

Volemose bene

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 13 luglio 2016.
“Volemose bene”. Così nel 1944 Filippo Andrea VI Doria Pamphili concluse il suo primo discorso da sindaco di una Roma appena liberata dagli alleati.
Quella locuzione vernacolare nella bocca di un principe rimase proverbiale e ancora oggi viene citata da chi spesso non sa nemmeno dell'esistenza di colui che la rese celebre. L'appello ai buoni sentimenti comunque non stonava in giorni in cui si cominciava a risanare le ferite lasciate da un conflitto ancora in corso e che nel nord d'Italia si era intanto trasformato in guerra civile. Il principe Pamphili poi era uomo troppo sobrio per concedere sia pure un nonnulla alla retorica, specialmente dopo che per vent'anni se n'era fatto spreco. 

Il suo esempio purtroppo non venne seguito e solo quattro anni dopo, nel corso di una campagna elettorale che fu (verbalmente) una delle più violente che si ricordi, i toni si accesero, con il conseguente ricorso al repertorio più scontato e anche più becero della tradizione melodrammatica italiana. “Madre! Salva i tuoi figli dal bolscevismo!”, recitava un manifesto di quei giorni, dal quale allo stesso tempo si stagliava una giunonica madre italica curva a proteggere i suoi due pargoli, come lei di bianco vestiti, dalle affluenti schiere comuniste.

Quelle elezioni si conclusero con la schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana e con l'avvio di un periodo in cui un insopportabile conservatorismo clericale sguazzò in più occasioni nel ridicolo. La figura femminile ne fu l'icona più ricorrente. Mentre i giornali rassicuravano i propri lettori sull'illibatezza della povera Wilma Montesi e mentre in pellicole di serie B Amedeo Nazzari dopo infinite traversie abbracciava Yvonne Sanson, al festival di Sanremo trionfavano le mamme: da quella del 1953 che, come diceva il titolo, “piange di più”, a quelle dell'anno successivo, tutte belle “quando un bambino si stringono al cuor”, fino a quella “bianca”, anche lei del 1954, di “E la barca tornò sola”, magnificamente parodiata poi da Renato Carosone.

Già le mamme. E la famiglia. E i figli. Le prime, di cui ne “I soliti ignoti” a Renato Salvatori che, trovatello, ne aveva addirittura tre, il simpatico “Ferribotte” (al secolo Tiberio Murgia) ricordava con forte accento siciliano che di ognuna “ce n'è una sola”. La seconda, l'appartenenza alla quale secondo Leo Longanesi andrebbe addirittura riportata nel tricolore. E infine i terzi che, come ci ha insegnato Libero Bovio e come ci ha cantato fino allo sfinimento Mario Merola, “so' piezze 'e core”.

“Il patriottismo è l'ultimo rifugio delle canaglie” diceva Samuel Johnson, affermando una verità nota a tutti e in particolare a noi italiani che, tanto per dirne una, inventando il fascismo, abbiamo dato ampia prova di come qualunque mascalzone possa presentarsi quale benemerito. Ma noialtri figli del Belpaese abbiamo creato anche un rifugio per gli incapaci, i falliti, gli inetti o comunque i confusi, quelli che, quando non sanno che pesci pigliare, attingono a piene mani alla retorica degli affetti familiari; che è un espediente logoro, ma purtroppo sempre efficace.

Il neosindaco (o neosindaca: straordinaria anche questa discussione da paese da operetta) di Roma, Virginia Raggi, carneade ascesa alla massima carica dei quiriti, dopo alcuni tentennamenti di cui la stampa ha ampiamente riferito, durante la prima riunione dell'assemblea capitolina ha esibito orgogliosa agli astanti il figlio di sette anni, volendo forse rinverdire le glorie della celebre Cornelia degli Scipioni di cui ci riferisce Plutarco (la matrona però di figli ne aveva due). Qualche giorno prima invece, dimostrando da quale laicismo è animata, si era recata in visita al papa, trascinandosi dietro non solo il già citato figlio (dal nome da evangelista: Matteo) ma anche la mamma e il papà. Insomma, se Francesco era preoccupato delle intenzioni del nuovo capo della giunta, la Nostra si è affrettata a rassicurarlo, spendendo poi sul pontefice parole che non riferisco perché si perdono nel coro zuccheroso di tutti coloro che, dal giorno della sua elezione, tessono le lodi del papa argentino. Mi piace aggiungere poi, facendo un ulteriore passo indietro, che durante la campagna elettorale la signora Raggi aveva definito una “coincidenza” lo sciopero di alcuni autisti della società dei trasporti svoltosi, guarda caso, proprio in contemporanea alla prima partita della Nazionale. Insomma, gli estimatori del Tancredi Falconeri de “Il gattopardo”, secondo il quale tutto doveva cambiare affinché tutto restasse com'era, possono dormire sonni tranquilli.

Noi insonni invece ci consoliamo pensando che alla prima buccia di banana, su cui prima o poi la sindaca scivolerà, avremo il piacere di conoscere anche il marito o colui che ne fa le veci. Però... Però ci piacerebbe tanto che alle prossime elezioni si presentasse a candidato sindaco uno che abbia come slogan la famosa frase del dimenticato André Gide: Famiglie, vi odio!”. Uno così lo voteremmo volentieri.

 

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