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Vaccini

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 2 ottobre 2017.
Esattamente cinquant'anni fa (anno scolastico 1967-68) in questi giorni mi preparavo a frequentare il primo anno di liceo. L'istituto era lontano da casa per cui, per evitare di dover prendere due autobus (il secondo dei quali passava con scarsa frequenza) ricorrevo, come molti altri studenti, a un servizio privato di pullman. Quando salivo alla mia fermata, la prima persona che vedevo nella vettura era una ragazza della mia età che calzava uno scarponcino ortopedico. La poveretta aveva avuto la poliomielite, una malattia che proprio in quegli anni stava diventando rara, ma che evidentemente colpiva ancora. Stava diventando rara a causa dell'allora recente vaccino al quale anch'io, come i miei coetanei, qualche anno prima mi ero sottoposto.

L'anno seguente la mia classe venne scelta per quello che si chiamava “corso pilota” di biologia. Ci vennero consegnati dei libri tradotti dall'inglese in cui la materia veniva trattata con la consueta chiarezza anglosassone. Fra le illustrazioni ne ricordo una che mi colpì molto e che, grazie a quello strumento straordinario che può essere internet (per chi sa usarlo bene) ho ritrovato. Si trattava di una stampa inglese risalente ai primissimi anni del XIX secolo e che illustrava, caricaturandoli, i temuti effetti del primo vaccino: i vaccinati subivano alterazioni mostruose del loro corpo.

Si era nel 1802 e la medicina cominciava solo allora a intraprendere, grazie anche ai vaccini, quel percorso che l'avrebbe portata agli straordinari risultati odierni. Ancora in quegli anni invece molti medici facevano riferimento alla teoria dei quattro umori, risalente addirittura a Ippocrate, e l'intervento più frequente, in caso di malore, era il salasso. Per la cronaca Camillo Benso di Cavour, affetto da malaria, morì proprio in seguito a un intervento del genere. E Niccolò Paganini si curava la sifilide con il mercurio. Insomma, avveniva quello che uno dei più grandi uomini di teatro del '600, Molière, aveva capito da un pezzo e cioè che spessissimo ai malati erano più nocivi i medici che non le malattie. Altri tempi.

Altri tempi davvero, ma duri a morire, nei quali non si ricorreva nemmeno alla pratica basilare di ogni intervento medico: il lavaggio delle mani. La febbre puerperale che, fino al XIX secolo, si portava nella tomba una buona quantità di neo madri venne sconfitta solo grazie all'intuizione di un medico ungherese, Ignác Semmelweis, che aveva notato come, nell'ospedale dove lavorava, morivano soprattutto quelle puerpere venute a contatto con gli studenti di medicina reduci da autopsie. L'imposizione a costoro di lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calce salvò la vita a molte donne, ma rovinò la sua: avversato dagli altri medici che non gli perdonavano il suo successo oltre che la sua origine tedesca e le sue idee democratiche, finì addirittura in maniconio dove morì probabilmente ammazzato di botte dalle guardie dell'istituto. Ci volle Pasteur affinché la sua teoria venisse finalmente riconosciuta.

Perché l'oscurantismo è sempre presente e come un fiume carsico riemerge dopo ogni sconfitta, facendo nuovi adepti e declinando i suoi pregiudizi su ogni metro disponibile e ammantandosi spesso di vesti scientifiche o che tali vorrebbero apparire. Dietro di esso c'è ovviamente l'ignoranza, ma soprattutto il rancore degli sconfitti e dei semplificatori: quelli che leggono la realtà in bianco e nero, solo perché non hanno né l'intelligenza né la preparazione per coglierne le sfumature e che odiano coloro i quali, prove alla mano, gli dimostrano la loro incompetenza.

Tutto questo accade da sempre, ma nell'italietta disastrata di questi ultimi anni l'ignoranza dilagante ha conosciuto una nuova variante, quella secondo la quale bisogna sospettare di tutto ciò che proviene da qualsiasi autorità, sia pure questa un'autorità scientifica. Scienza e potere sembrano insomma essere diventati per alcuni la medesima cosa: un Moloch malefico i cui unici fini sono l'inganno e il sopruso.

Tutto questo è stato generato dall'odio per la politica il quale, va detto, se pure in Italia ha delle solide attenuanti, nasce non tanto dal disgusto per la diffusa disonestà, quanto dalla fine forzata della politica delle mance e dei facili condoni. E in un paese in cui la libertà è intesa come licenza, l'uguaglianza come avversione al merito e la fraternità come connivenza omertosa, ecco che nella mia invivibile Roma un minus habens assunto come autista alla società dei trasporti pubblici, ha scritto sul display della sua vettura “vaccìnati 'sto cazzo” e, orgoglioso della sua impresa, ne ha pubblicato la foto in quella sorta di paese dei balocchi degli asini che è ormai diventato Facebook.

Un'amica, a cui via mail ho inviato la suddetta immagine, ha risposto laconicamente “Non ho parole”. Io invece ne ho e vorrei che al somaro in questione venissero mostrate, oltre che in una lettera ufficiale, sul display della sua stessa vettura. Ne basterebbero due soltanto: Sei licenziato.

 

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