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Viaggio in Italia

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 30 settembre 2021.
Parafrasando l'incipit del Don Chisciotte (En un lugar de la Mancha, de cuyo nombre no quiero acordarme) dirò che in un libro, edito qui in Germania, che ha la pretesa di insegnare l'italiano e che io non voglio nominare, anche per evitare una querela per diffamazione, è presente una sgangherata invocazione all'Italia che non ha niente in comune con quella del Parini (Bella Italia, amate sponde) e ancor meno con quella di Leopardi (O patria mia, vedo le mura e gli archi / E le colonne e i simulacri e l'erme / Torri degli avi nostri,). È invece una lista di luoghi comuni, che però piacciono tanto a quei tedeschi che chiedono solo di veder confermati i loro pregiudizi sulla "Terra dove fioriscono i limoni", come la chiama Goethe nel suo Wilhelm Meister.

Ecco, Goethe e il suo viaggio in Italia, quello in seguito al quale completò il sunnominato romanzo. Si deve infatti proprio al grande scrittore e poeta di Francoforte la sviscerata passione che molti dei suoi connazionali nutrono per l'Italia, quella che li obbliga quasi a mettersi i paraocchi per non vedere quanto di sudicio e di marcio c'è nel Paese dove, come ho già ricordato, die Zitronen blühen, (fioriscono i limoni ndr).

Sono ritornato da pochi giorni da quel Paese dove sono nato e dal quale sono scappato più di trent'anni fa e nel quale, ogni volta che ci ritorno, constato un degrado sempre maggiore; uno scadimento del quale mi sono ormai rassegnato a non vedere la fine.

Già Goethe si lamentava della condizione delle strade italiane. Mi chiedo cosa direbbe oggi se si trovasse a spostarsi su una delle vie della Roma da lui tanto amata, su quegli accidentati percorsi dove le buche si alternano ai bozzi, i quali ultimi non sono che buche colmate alla bell'e meglio con un paio di palate di bitume. E cosa direbbe ancora lui, inorridito davanti alla sporcizia di Palermo in cui scopriva presente al suolo uno strato di immondizia ormai compatto, davanti alla cartacce, alle cicche, alla plastica, ai vetri, alle cacche dei cani, a tutte le lordure disseminate sui marciapiedi di quella che fu un tempo la Caput Mundi? Io non so cosa direbbe, ma so che, da quell'uomo intelligente che era, indagherebbe sulle ragioni di tanto luridume, e scoprirebbe che se la causa è l'inciviltà dei cittadini dell'Urbe, la concausa è la mancata rimozione dell'immondizia, giacché a Roma gli spazzini non esistono, e se esistono si nascondono, perché io, ormai da decenni, non li vedo più. Vedo invece ottusi giovanottoni con orrendi tagli di capelli e lo smartphone eternamente in mano che si limitano ad agganciare a un camion cassonetti traboccanti di sacchetti di plastica ricolmi di rifiuti maleodoranti. Una catena solleva poi il container, lo svuota nel camion, e i giovanottoni di cui sopra, senza distogliere lo sguardo dai loro smartphone, lo ricollocano malamente la dov'era, senza curarsi del fatto che spesso qualcuno di quei sacchetti è caduto sull'asfalto, dove presto sarà schiacciato da un auto di passaggio, e il suo contenuto, insieme ai suoi effluvi, si spargerà sulla strada.

L'AMA, la società che dovrebbe curare la pulizia delle strade, occupa oltre 7500 persone, soltanto mille delle quali (secondo quanto comunica il sito della società) svolgono lavoro amministrativo. Ne deriva che in giro per la città dovrebbero esserci circa 6500 "operatori ecologici" (così si autodefiniscono i sunnominati giovanottoni) e che, se tutti, scopa alla mano, svolgessero il loro lavoro, la città dovrebbe essere, se non uno specchio, almeno non quell'infinito immondezzaio che è. Viene perciò il dubbio che la mattina i nostri "netturbini" (così si chiamavano un tempo quando già l'insopportabile politicamente corretto muoveva i primi passi) invece di svolgere il lavoro per il quale sono pagati, occupino il tempo diversamente. E tutti sanno che le attività sostitutive del dovere sono sempre infinite. C'è per esempio uno di costoro che da qualche anno appare su YouTube in veste di opinionista tuttologo. Vi lascio immaginare la profondità dei suoi commenti, i quali tuttavia, per il tono plebeo che li caratterizza, sono divertenti.

Perché la plebe è volgare e feroce, ma anche spassosa, ed è una constatazione questa che da Plauto a Giuseppe Gioachino Belli hanno fatto parecchi letterati, consci del fatto che il divertimento nasce dalla contrapposizione della forma plebea a quella canonica, dallo storpiamento della lingua, dall'esagerazione rispetto alla misura. Il problema nasce quando l'eccesso diventa regola, quando l'intera società si plebeizza. Ed è proprio quello che sta accadendo in Italia e in particolare a Roma. Il galleggiamento nel letame diventa allora modus vivendi e il rifiuto e lo sdegno si trasformano in rassegnazione.

Viene in mente a questo punto quella barzelletta in cui in un ipotetico inferno i dannati erano immersi fino al mento nella cacca. "Non si starà poi così male. - commentava uno di loro a cui era stata concessa la scelta della punizione - Alla puzza prima o poi ci si abitua". Ma, una volta immersosi, ecco che spuntava un diavolaccio e urlava a squarciagola "La ricreazione è finita! Tutti sotto!"

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