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Categoria: Mito
Pubblicato Mercoledì, 08 Novembre 2017 08:42

La scansione del tempo nelle lingue antiche e moderne

Logos e Mithos

Laura Benatti

Como, 28 ottobre 2017.
Alle origini i Greci intendevano il tempo come misurazione della permanenza di ciò che muta e come successione di fasi in cui si svolge il divenire della natura. Il pensiero era ancora evidentemente influenzato dal mito, dalle filosofie cosmogoniche e dall'Orfismo che identificava in Crono il padre di tutto e che predicava i 'cicli' del tempo in cui tutti gli esseri rinascono eternamente. Per combattere contro l'azione corrosiva del tempo, i primi Pitagorici introdussero la teoria della “metempsicosi” o “trasmigrazione dell’anima”.

Chi invece sottolineò la realtà unica del mutamento e l'importanza fondamentale del processo temporale fu Eraclito di Efeso (VI sec. a.C.): ben nota a tutti l'immagine eloquentissima del fiume nelle cui acque nessuno può bagnarsi due volte. La Scuola di Elea, in primis Parmenide, distrusse del tutto la dottrina eraclitea, sostenendo, al contrario, che solo ciò che è permanente è reale. Anche la realtà del tempo di Eraclito veniva così rifiutata. Accettando il mutamento, sosteneva Parmenide, si ammette contemporaneamente 'essere' e 'non essere', una contraddizione.

Con Parmenide il concetto di 'tempo' incominciò ad assumere contorni problematici: esso venne allontanato dall'immutabilità dell' ”essere” per entrare nell'ambito del mondo sensibile. 
Nel "Timeo" di Platone (37d) il tempo venne definito 'immagine mobile dell'eternità': tale immagine è il cielo che, attraverso gli astri, permette la misurazione del divenire temporale. Per Platone l'universo rappresentò “il visibile dell'invisibile”, cioè l'anima: si preannunciò con questo un tema che sarebbe stato proprio della filosofia occidentale, il nesso tra tempo e pensiero. Aristotele nella 'Fisica' (219b) definì il tempo il 'numerato' e il 'numerabile', rinviando implicitamente ad un 'numerante' cioè all'anima, che ha la capacità di numerare; quindi per il filosofo non poteva esistere il tempo senza l'anima.

Il tempo come 'estensione dell'anima' è ormai presente in Sant’Agostino nella 'De civitate Dei' (XI,5) e nelle 'Confessioni' (XI,14), ma con questo autore si abbandona la visione ciclica del tempo, propria dei pagani, per assumere una direzione lineare-progressiva.

Il tempo condiziona la storia dell'uomo che, nel suo peccato originale, procede verso il riscatto dalle colpe, per tornare a Dio. A questa concezione psicologica ed escatologica si sarebbe in seguito accostata la nuova concezione scientifica del tempo, fondata sulle intuizioni galileiane: Il tempo è una serie idealmente reversibile di istanti omogenei, una serie che consente la riduzione del movimento a leggi quantitativo-matematiche e l'applicazione del calcolo infinitesimale. Ma a tale visione si opporranno gli Empiristi (Locke, Berkeley, Hume), i quali sosterranno il carattere psicologico della temporalità, e Leibnitz (Lettere, G III 622) che nel tempo ravviserà qualcosa di 'ideale', non di 'reale'.

Kant fece da 'cerniera' alla discussione del problema del tempo nella filosofia contemporanea, ma non influenzò il pensiero scientifico. Secondo questo pensatore, infatti, il tempo è la forma trascendentale per eccellenza nella formazione dell'oggettività del conoscere. 
Nietzsche nell'opera 'Così parlò Zarathustra' fece ritorno alla concezione classica: la visione circolare del tempo, piuttosto che quella lineare giudaico-cristiana, sembra negare un fine che trascende i singoli momenti storici per affermare, invece, che ogni istante ha tutto il suo senso in sé. 
Senza dubbio, infine, particolarmente affascinante e originale il concetto di tempo in Heidegger: il tempo è 'decisione anticipatrice' che accoglie la finitezza esistenziale dell'uomo in quanto 'essere per la morte' ('Essere e Tempo', 'Tempo ed Essere').

I Germani si riunivano per prendere decisioni nel giorno del novilunio o plenilunio: ‘luna’ in norr. è “mani”, ingl. moon, ted. Mond, ingl. month (mese), ted. Monat (mese). Sappiamo che avevano anche il culto delle stelle e del sole (portatori di luce). Nell’”Edda” il fuoco è fratello del vento e del mare e perciò vivente e divino. Tuttavia la religione germanica deve essere letta in un’ottica di forte evoluzione: mentre Cesare nel I sec. a.C. parlava ancora di venerazione di fenomeni naturali, Tacito ci riferisce più di antropomorfismo.

In a.a.ted. donar, norr. thorr, ant. sass. thunar, angl. thunar, ingl. thunder (tuono), ted. Donner (tuono). Nella mitologia germanica il dio del tuono è collerico, con la barba rossa. Da lui dipendono i fenomeni atmosferici, è identificato con Giove: it. giovedì, ingl. thursday, ted. Donnerstag. Il dio-luce corrisponde a Zeus/Giove, norr. tyr, angl. tiw. Il norreno usa il plurale tivar per indicare gli dei, in quanto il dio-luce è il dio per eccellenza

Con Sant'Agostino, abbiamo detto, la concezione del tempo passa da quella ciclica delle religioni pagane a quella lineare del Cristianesimo. La teoria, tuttavia, più originale ed innovativa viene proposta all’inizio del Novecento dal filosofo Henry Bergson. Egli propone due diverse visioni di tempo: tempo della scienza e tempo della coscienza. Il tempo della scienza è quantitativo, calcolabile e reversibile, cioè ogni istante per potersi affermare ha bisogno di annullare quello precedente. Il tempo della coscienza è, invece, qualitativo, tipico dell'interiorità dell'uomo, della mente in cui il passato, il presente e il futuro si compenetrano ed esistono insieme e per questo non è calcolabile.

Da questa duplice visione del tempo Bergson sviluppò una figura di uomo inteso come flusso di coscienza. Ogni momento è contemporaneamente risultato dei momenti che lo precedono e al tempo stesso è qualcosa di nuovo rispetto ad essi perché, come dice Bergson, ‘vivere significa mutare, mutare significa maturarsi, maturarsi significa creare se stessi’. In questo senso Bergson ritiene di individuare le cause del comportamento umano e di spiegare il presente con il passato. Per Bergson l’uomo è 'flusso di coscienza' ed è libero solo quando i suoi atti scaturiscono dalle profondità dell'io. L’io è un’unità in continuo fluire, non scomponibile e vissuta nella coscienza di ogni individuo.

La visione del tempo soggettivo di Bergson e lo sviluppo della psicanalisi influenzarono sensibilmente la prosa europea del primo Novecento che diventò specchio della condizione travagliata dell'uomo moderno. In particolare, in Italia, lo scrittore in cui meglio si colse la presenza del tempo e della durata interiore fu Italo Svevo con “La coscienza di Zeno”.
L'insicurezza dell’”io narrante” produce una serie di dubbi ed interrogazioni che impediscono a Zeno di condurre ordinatamente una narrazione e di seguire il tempo oggettivo. Nel “La coscienza di Zeno” il tempo della narrazione è il tempo interiore della coscienza, definito dalla critica ‘impuro’ e ‘misto’, poiché gli avvenimenti narrati sono sempre alterati dal desiderio del narratore che lo modifica o ricrea. Spesso il progetto di Zeno di narrare ordinatamente le sue esperienze viene sconvolto da elementi esterni che lo portano a ricordare varie vicende accadute in tempi diversi. Tuttavia dato che il tempo non è più una realtà oggettiva, ma una continua creazione della coscienza, gli avvenimenti continuano ad intersecarsi tra loro secondo diversi piani temporali: il passato si insinua nel presente e viceversa.

La scansione del tempo nel lessico delle lingue antiche e moderne (alcune curiosità)

a) got. jer, ingl. year, ted. Jahr, sved.-norv.-dan. àr;

b) got. aϸnam (dat. plur.), lat. arc. annos (per assimilazione), lat. class. annus.

c) gr. aion (ad Atene significa usualmente “eternità”, per i poeti tragici “vita”), germ. aiw, ted. Ewig, lat. aevum.

d) lat. nox, noctis, gr. nùx, skr. nakti-, a.bulg. nošti, got. nahts, ingl. night, ted. Nacht, alb. natë, lit. nakti, it. notte, spagn. noče, franc. nuit, got. nahts, a.a.ted. naht (perde la -s finale); m.a.ted. nacht (perché in m.a.ted. /h/ si scrive /ch/). Sappiamo che per le popolazioni antiche la notte era fondamentale per la misurazione del tempo.

Per il giorno non c'è concordanza tra greco e latino: lat. dies, it. dì (usato nel linguaggio medico e in poesia), gr. Hemera, germ. daga, got. dags, a.b.ted. dag, bavar./alem. tac/tak, a.a.ted. Tag, sass.occ. daeġ, angl. deġ, kent deġ, ingl. day.

Legenda:
got: gotico 
germ.: germanico
a.a.ted.: antico alto tedesco
m.a.ted.: medo alto tedesco
a.b.t.: antico basso tedesco
alem.: alemanno
bavar.: bavarese
sass. occ.: sassone occidentale
skr.: sanscrito
lat.: latino
gr.: greco
angl.: anglosassone
sass.: sassone
norr.: norreno
ingl.: inglese
franc.: francese
spagn.: spagnolo
alb.: albanese
a bulg.: antico bulgaro
lit.: lituano
sved.: svedese
norv.: norvegese
dan.: danese

 

 

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