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Categoria: Turismo
Pubblicato Venerdì, 03 Dicembre 2010 20:47

Santa Giulia di Centaura

Un panorama ligure tra storia e leggenda

Das Blau des Meeres, das Grün der Oliven und das Grau von Schiefer entschädigen Touristen, die sich die Zeit nehmen, dem banalen Strandgeschehen den Rücken zuzuwenden. Und stattdessen dem kleinen Dorf Santa Giulia einen Besuch abstatten, hoch gelegen wie Lavagna, fast in der Mitte des “Golfo del Tigullio”.

Alessandro e Paola Gambaro

Appena qualcuno accenna al golfo del Tigullio sulla riviera di Levante, la maggior parte degli interlocutori cita i soliti tre o quattro nomi: Portofino, Santa Margherita, Rapallo, le Cinque Terre, poco di più.
Ma Santa Giulia chi la conosce? E dov’è?
L’autostrada ci passa sotto, in galleria, ma almeno ne cita il nome: “galleria Santa Giulia”. Percorrendo la via Aurelia, invece, nel breve tratto che fiancheggia il mare “là ov’intra Siestri e Chiavari s’adima la Fiumana Bella” come diceva il vecchio padre Dante (canto XIX del Purgatorio), si intravedono, tra il verde-grigio degli olivi che vestono la collina, soltanto alcune case, colorate di rosso, di arancione, di giallo, come usa in Liguria, mentre, ancora più in alto, a coronamento della collina, si staglia, luminosa contro il sole, la facciata bianca della chiesa, con il suo campanile, bianco anch’esso, altissimo, sottile.Questa è Santa Giulia. O almeno, quello che se ne vede dal basso, passando velocemente lungo la riviera.
Ma Santa Giulia è solo questo? Già, partiamo dal nome. Il nome completo è: Santa Giulia di Centaura, e racchiude in sé storia e leggenda che si dipanano nei secoli.Secondo uno dei racconti tradizionali, Santa Giulia, originaria di Cartagine,

fu vittima della persecuzione dell’imperatore Decio nel terzo secolo e, quando i Vandali nel 439 distrussero Cartagine, i cristiani in fuga portarono con sé le reliquie della Santa, dapprima in Corsica, e poi all’isola di Gorgona, da dove ebbero definitiva collocazione a Centaura. Un’altra versione, più elaborata, ma, sembra, altrettanto antica, racconta di Santa Giulia, cartaginese, che, venduta schiava, dopo un naufragio, fu martire a Nonza nel nord dell’isola di Corsica.
Ma la seconda parte del nome, cioè “Centaura”, secondo alcuni vuole soltanto ricordare che la zona è esposta ai venti di ogni quadrante; ciò che ne fa un paradiso di ariosa frescura in estate, ma un tormento di gelidi vortici in inverno, (da qui le “cento aure”). Per altri avrebbe invece una origine storica molto antica. Anzi sarebbe il nome originario della località. Sembra infatti che, su quell’altura, ai tempi dei romani fosse di stanza una Centuria di armati con il compito di controllare la via Aurelia nell’unico, breve tratto in cui, dopo molti saliscendi, corre lungo il mare stretta contro la collina. D’altronde anche il nome Tigullio, che definisce l’intero golfo, sembra sia stato attribuito dai romani alle popolazioni liguri che vi abitavano, a causa delle caratteristiche “tegulae” grigie di ardesia che ricoprivano - allora come oggi - i tetti a spioventi delle loro case.
Chi sale da Lavagna, percorrendo in macchina i quattro chilometri di curve e controcurve della strada troppo stretta, ombreggiata, in alcuni tratti, dagli scuri boschi di castagno, o fiancheggiata, altrove, dai brevi terrazzamenti, le “fasce”, coltivati a vigna o a olivo, sostenuti dagli alti muri in ardesia a secco, intravede solo poche case, spesso riparate e quasi nascoste dietro alte siepi, precedute da un vialetto, come se la tradizionale ritrosia dei liguri, vietasse loro un troppo esplicito affacciarsi lungo la strada principale. Solo le case più recenti sono riparate da un cancelletto, per quelle antiche era, ed è tutt’ora, sufficiente garanzia di “privacy” la tortuosità del percorso e, soprattutto, la convinzione che nessuno abbia interesse o desiderio di accedervi.Ma a Santa Giulia si può anche salire “pedibus calcantibus” da Lavagna o da Cavi di Lavagna, lungo le “creuse” (mi raccomando pronunciare la “eu” come nel francese “chartreuse”) ben lastricate con ampie “ciappe”, cioè lastre, di ardesia che rendono meno ardua la salita. Da Lavagna il percorso dura tre quarti d’ora, da Cavi mezz’ora. La differenza è compensata dalla diversa ripidità della salita. Via via che si sale, di curva in curva, si attenua il brusio confuso del traffico, e anche l’occasionale rumore sferragliante del treno si spegne lontano; si riscoprono i rumori ed i profumi antichi della campagna: il frinire solare ed estivo delle cicale, il canto fuori orario di un gallo, l’abbaiare lontano di un cane, l’odore dei numerosi alberi di fichi e delle erbe aromatiche che ritroviamo abbondanti nei piatti della cucina ligure. E quando si arriva a Santa Giulia, la Chiesa appare quasi solitaria: non c’è intorno un vero paese. Le fanno corona solo la canonica, l’asilo per i bambini, la scuola elementare di un giallo incongruo, ma soprattutto il grande, antichissimo leccio che ombreggia una larga parte del piazzale.

Parlando di Santa Giulia, infatti, non si può non citare il suo leccio (una varietà di quercia) il cui tronco ha una circonferenza che supera i quattro metri e la cui età è, forse, di 360 anni. Una piccola targa in metallo avverte anche i più sbadati che si tratta di un “albero monumentale”, senza aggiungere, credo a causa della consueta ritrosia di cui dicevo, altre informazioni. Il piazzale antistante la chiesa cui si accede per due ampie scalinate in ardesia è interamente ricoperto, secondo la tradizione locale, da un complesso mosaico in ciottoli marini di diversi colori ed è contornato da un basso muretto, ricoperto anch’esso di lastre di ardesia, che, in altri tempi, costituivano una serie di comodissime panche per i fitti conversari che i contadini locali usavano intrecciare alla fine delle cerimonie religiose, prima di avviarsi verso le loro case nascoste tra gli olivi, ora in buona parte trasformate - occorre dirlo - in seconde case per i milanesi amanti del mare e del silenzio. L’interno della chiesa, a una navata, è tipicamente barocco - l’inaugurazione è avvenuta nel 1654, su una costruzione precedente, di cui si ha notizia a partire dall’anno 1030 - e, anche se non esibisce opere pittoriche di autori importanti, merita una visita per la bellezza dei marmi policromi che le danno luminosità, per gli affreschi della volta, per i dipinti che ornano gli altari. E c’è anche un pregevole polittico del ’500 e un interessante Cristo bizantino in legno. Del tutto originale, e nuovissimo invece, è il sostegno per l’altare principale, realizzato l’anno scorso in un unico, enorme ceppo di ulivo. Ma ciò che maggiormente colpisce, nell’ambito di una visita alla chiesa di Santa Giulia è il momento dell’uscita verso il sagrato, quando si è investiti da un’ondata di luce azzurra, e si apre, netta, decisa, non interrotta, la visione sul mare. Solo il mare si vede dall’uscita della chiesa, e, sopra, il cielo; in basso le chiome verdeggianti di alcuni alberi chiudono la visuale sulla costa. Per vedere il profilo della battigia, valutare la profondità del panorama e dargli movimento, occorre avanzare di alcuni metri sul sagrato, magari fin sotto il leccio o fino alla scalinata d’ardesia: da lì si può vedere la linea della spiaggia, il biancheggiare della risacca, e i tetti grigi di alcune delle case che emergono tra il verde grigio degli olivi.


Ecco: parliamo del panorama, o, volendo, dei panorami, perché dovunque ci si sposti, a Santa Giulia, il panorama cambia, anche se mantiene un carattere essenziale che lo definisce: la grande apertura sul cielo e sul mare, con i due azzurri che si fondono all’orizzonte.
Il fatto è che Santa Giulia non ama essere guardata, ama guardare. Dall’alto in basso, con un certo sussiego: infatti dai suoi 254 metri domina tutto il Tigullio, dalla penisola di Portofino ad ovest fino alla penisola di Sestri Levante, che definisce il golfo verso est. In basso, verso occidente si vedono, rispettivamente a destra e a sinistra del fiume Entella, le città di Chiavari e Lavagna, ciascuna con il proprio porto turistico gremito di battelli, di yacht, di motoscafi. Più lontano Rapallo, Santa Margherita e, accucciata in fondo al suo golfo, Portofino. Solo Zoagli si sottrae alla vista da Santa Giulia, riparata dietro le collina delle Grazie. Ben oltre la penisola di Portofino, se l’aria è particolarmente trasparente, si scorge il profilo della costa che va da Savona fino alla Francia, e le Alpi Marittime. Verso oriente, invece l’attenzione si concentra sulla vicinissima penisola di Sestri Levante, con la sua “Baia delle Favole”, così denominata in omaggio a H. C. Andersen, che qui soggiornò nel 1835. Nei giorni di tramontana, quando il cielo è terso, si intravede, esattamente di fronte, verso sud, l’isola di Corsica. E, se la tramontana ci assiste, si possono anche scorgere, più a sinistra, verso la Toscana, l’isoletta di Capraia e l’isola di Gorgona, citate entrambe - con malcelata disapprovazione - dal poeta pagano Rutilio Namaziano, in viaggio per mare nel 415 dopo Cristo, come rifugio di “coloro che con nome greco si fanno chiamare monaci perché vogliono vivere soli, senza testimoni”. Se ci si allontana dalla chiesa, ad esempio risalendo una delle vecchie “creuse” di solito ben conservate e agevoli essendo ancora ben lastricate di antiche, ampie lastre di ardesia, allora i panorami si differenziano molto, quello verso oriente, più chiuso e montano, in cui predominano i verdi intensi dei boschi; quello verso occidente più aperto sul mare, sulle città della costa. Insomma Santa Giulia “è” il suo panorama. E fortunatamente è stata anche strenuamente difesa contro gli scempi edilizi che hanno distrutto larga parte delle bellezze delle riviere liguri.
A chi ama il trecking Santa Giulia offre percorsi ideali con sentieri (sempre “creuse”) ben segnalati e lastricati di ardesia, che arrivano al monte Capenardo (600 metri) e poi si addentrano nei profondi boschi di castagno e di noccioli per scendere verso la val Graveglia, alle spalle di Lavagna. Va notato che a Santa Giulia, non esiste più un albergo dove poter soggiornare: è stato chiuso trent’anni fa. Né esiste un negozio di alimentari dove poter comprare un panino con il salame o una fetta di “focaccia”: chiuso alcuni anni fa. Non esiste nemmeno più il bar dove poter sorseggiare una bibita fresca all’arrivo dopo una lunga passeggiata: chiuso anch’esso ormai da anni. E anche la vecchia osteria, dove i contadini andavano nel pomeriggio della domenica a giocare a bocce e a bere un bicchiere di vermentino, è chiusa ormai da molti anni e mostra sconsolata i vecchi tavoli e le panche in ardesia deserti sotto il pergolato da cui pendono tuttavia ricchi grappoli di uva nera. Resiste solo un buon ristorante che apre alcuni mesi all’anno, quasi esclusivamente di sera.
Ai visitatori, non pochi invero, Santa Giulia offre un certo numero di panchine all’ombra del leccio, e anche alcune altre ben esposte al sole per le giornate invernali: tutto qui. Veramente c’è anche una fontanella di acqua fresca accanto al leccio, vicino al muro dove permangono tuttora gli anelli a cui, in tempi passati, i possidenti legavano i loro muli. Tutto questo è garanzia di quiete, di silenzio, di tranquillità, quasi come un eremo, e questo è ciò che difende Santa Giulia.
In sostanza chi volesse effettuare una gita a Santa Giulia, attratto dalla bellezza del panorama, non dimentichi i consueti generi di conforto: potrebbero essere utili.

(2007-4 pg 5)

 

 

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