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Joe Ontario

Joe Ontario, un figlio d’emigranti italiani in Canada, è considerato uno dei più importanti “impersonators” al mondo di Elvis Presley e ci concede un’intervista in esclusiva

Wir hatten das Vergnügen den italienischstämmigen Musiker Joe Ontario zu interviewen. Er zählt zu den bekanntesten Elvis-Imitatoren und berichtet über seine Leidenschaft für den King of Rock ’n Roll. Auch dreißig Jahre nach seinem Tod lässt die mitreißende Musik von Elvis Presley die Herzen von Jung und Alt höher schlagen.

Simona Aiuti

Sono passati già trent’anni dalla scomparsa del grande Elvis e milioni di persone in tutto il mondo si accingono a ricordarlo. Alcuni sentono il momento in modo più intenso e vibrante, immergendosi nella sua musica così come riesce a fare con la sua voce Joe Ontario, colui che rappresenta in Italia e in Europa il più grande “impersonator” del re del rock; uno tra i più grandi al mondo, come gli è stato riconosciuto dai musicisti del “re di Graceland”.

Ontario ha sempre vissuto il dualismo italo americano che lo contraddistingue, riuscendo a non scendere mai, in venticinque anni di lavoro, a compromessi con il business del mondo dello spettacolo che trita persone, artisti e denaro, ma che non ha fagocitato lui, rimasto fedele alla sua musica, al rock, ai grandi spettacoli che raccolgono decine di migliaia di ammiratori, quelli veri, i suoi fedelissimi fans che lo supportano da tantissimi anni.

Joe è questo: un uomo che gronda musica rock e vibranti melodie gocciolanti dalla sua chitarra, incendiando il suo microfono e trascinando la folla durante i suoi dinner show, fedeli allo stile di Las Vegas.

Simona Aiuti (S.A.): Come sono stati i suoi inizi, insomma com’è nata la leggenda “Ontario”?

Joe Ontario (J.O.): Da ragazzino, in Canada. Sono figlio d’emigranti, mi sono innamorato di un certo genere musicale viaggiando nell’auto di mio padre da una parte all’altra della città. Ebbi in regalo dai miei genitori due album di Elvis, cantavo con lui, lo imitavo e iniziai a fare il dj. In quel periodo cominciai a suonare la chitarra, strumento che non mi ha mai lasciato e a cui devo molto della mia arte, e sono poi cresciuto amando il re del rock.

S.A.: Quando è diventato un professionista?

J.O.: A diciotto anni vivevo da tanto già qui in Italia, firmai un contratto con una casa discografica, la stessa che condividevo con altre voci importanti come quella di Anna Oxa. Cominciai ad incidere e fu un periodo molto emozionante in cui ho imparato a far convivere la mia realtà canadese con parte delle mie origini italiane.

S.A.: Ci può dire com’è cresciuto in lei il culto del re di Memphis?

J.O.: A Toronto nel ’69 ero già un fan, e, cantando in Canada per farmi le ossa, ho conosciuto il primo produttore del re del rock, il suo primo batterista, il suo primo chitarrista e anche il suo secondo chitarrista: fu un’ emozione fantastica! Devi sapere che in Canada c’è il più gran raduno dei fans e cultori di Presley, si tratta del “Collingwood Elvis Festival”, qualcosa come un fiume di 80.000 persone in tre giorni, il più frequentato al mondo, molto più grande di quello di Memphis.

Ma anche qui in Italia ci sono grandissime manifestazioni, come quelle che si tengono al Naima di Forlì, la più grande blues house d’Italia e ti giuro che in occasioni del genere non c’è la mercificazione e il business che sporca tutto altrove, si fa solo vera musica. Oggi molti ragazzi non riescono ad emergere per via dei grandi vecchi della discografia che non gli consentono di spiccare il volo, li dissanguano chiedendogli un sacco di soldi e questo è disgustoso.

Si dovrebbe solo lavorare per il meglio, per la buona musica, è per questo che io, la mia band e il mio staff stiamo lavorando: per portare qui in Italia i quattro storici grandi musicisti di Elvis e se la cosa andrà in porto sarà un bel sogno per gli appassionati italiani del rock.

S.A.: È uscita la sua biografia, “Black Creek” - edizioni Raffaelli - come il ruscello vicino al quale viveva lei da bambino; cosa prova in questa nuova esperienza di scrittore?

J.O.: Non è solo la mia biografia, ma può essere la biografia di tutti, sono molto emozionato per questa grande maratona cartacea nella quale mi ha aiutato un mio amico fraterno che segue la mia carriera, Marco: noi siamo come fratelli davvero, credo che ci conoscevamo già in un’altra vita! Anche mia moglie che conosce quattro lingue ha avuto un ruolo fondamentale per dialogare con i miei fans.

S.A.: Quando lei canta e si esibisce sembra davvero che lo spirito di Elvis sia in lei, e tra il pubblico c’è il delirio. Come si vive una situazione del genere in ogni performance e in ogni show?

J.O.: Io sono stato definito uno dei più grandi “impersonators” al mondo e sono lusingato e orgoglioso di tanta stima dai cultori del rock, ma è anche una lama a doppio taglio, e se incido un singolo mio sembra sempre che io stia facendo una cover.

È difficile togliersi di dosso questa etichetta, soprattutto se si è molto popolari e la gente ti stritola nel suo abbraccio, ma so che lo fa per affetto e sono felice di poter emozionare i miei fans, i miei amici, come preferisco definirli. Spesso è stressante avere tanta gente addosso: ricevo molte lettere e rispondere mi fa piacere, anche se mi ruba tantissimo tempo. Ho paura di non riuscirci e di risultare antipatico perché posso risultare un po’ schivo e cerco di difendere la mia privacy.

S.A.: Molti credono fermamente che Elvis non sia morto e che viva nascosto in qualche isola o addirittura a Graceland. Lei che ne pensa?

J.O.: Credo siano sciocchezze! Elvis è morto per una disgrazia e per il tipo di vita che faceva da troppo tempo. Un uomo come lui non avrebbe mai potuto vivere lontano dalle persone che amava e dalla sua musica. Quando sono andato a Graceland, dopo un certo tempo ero io che facevo da cicerone, conoscevo bene quelle stanze e credo che sia stato giusto non aver mai aperto al pubblico la camera da letto del re del rock. Penso che Lisa Marie e Priscilla abbiano fatto molto bene a tenere celata una parte della vita privata di un grande uomo.

S.A.: Signor Ontario, nello show business ci sono molti artisti capricciosi. Anche lei ha avuto modo di sperimentare tutto questo, oppure pensa che si tratti di una forma di pubblicità per attirare ulteriormente l’attenzione su se stessi?

J.O.: Io ho incontrato molti problemi, ad esempio, quando ero giovane mi sono stati chiesti un sacco di milioni da certa gente… sai, di quelli che vogliono lanciarti nel mondo della musica. Anche tra i cultori del rock ci sono invidie e gelosie e la mia spina nel fianco è Stefano Bardelli, presidente del fan club di Elvis di Milano. Bardelli imita Elvis anche se non conosce l’inglese, non mi può proprio soffrire e non parla bene di me. Io non capisco perché non sopporti la mia presenza, come ha dimostrato spesso, dopo tutto io non sono un fan, ma un musicista, un “impersonator” e vorrei davvero che questa storia finisse.

S.A.: Naturalmente offriamo a Bardelli diritto di replica.Quando la vedremo esibirsi signor Ontario?

J.O.: Ho ricevuto tante e-mail da appassionati del rock di tutta Europa, che mi chiedono la stessa cosa; anche qui (a terni?) ho dei fan, ed è uno dei motivi per cui parlo volentieri con voi. Attualmente ho molti impegni e progetti: tra l’altro poco tempo fa a Vienna ho parlato con un paio di musicisti di quella che fu la band di Elvis e spero di riuscire a portarli a breve in Italia. Sarebbe fantastico! Sarebbe bello organizzare un dinner show qui dove ci sono molti appassionati come me. Inoltre se qualcuno in futuro volesse contattare il mio staff (www.marcochierici.it - www.joeontario.it) potrò venire volentieri a suonare da voi!

Il 16 agosto sono stati celebrati trenta anni dalla scomparsa del più grande mito del rock e tutti dovrebbero ricordarlo. A questo proposito sono state organizzate manifestazioni in onore del re di Graceland in tutta Italia.

S.A.: Grazie signor Ontario e speriamo di vederla presto dalle nostre parti.

2008-1 pg 15


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