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Terraferma

La trama del toccante film d’immigrazione di Emanuele Crialese raccontato dalle parole di una, anche lei,  “appena arrivata“

Giulia Antonelli

Monaco, 8 dicembre 2014.
“Siamo tutti migranti“ è un progetto creato e sostenuto dal gruppo Un’altra Italia, iniziato l’otto novembre e conclusosi il sei dicembre. Fine settimana all’insegna del cinema quello dal 28 al 30 novembre, con una rassegna cinematografica a cura del Circolo Centofiori e del Filmstadt München, in collaborazione con Münchner Stadtbibliothek.

L’immigrazione è qui presentata come un fenomeno che abbraccia interamente il nostro Paese: dalle aspre montagne del Trentino in ”La prima neve“, alla furia del mare contro gli scogli siciliani in “Io e l’altro“. Oltre all’interregionalità, il secondo criterio per la selezione dei film s’incentra sul vissuto personale dei registi, di quelli che la migrazione l´hanno vissuta sulla pelle. ”Migranten sprechen über Migranten“, ribadisce Ambra Sorrentino Becker, durante la presentazione del progetto al Gasteig.

Primo cortometraggio è Terraferma, nato dalla cinepresa di Emanuele Crialese: accolto positivamente a New York nel 2011, riceve nello stesso anno il Premio speciale della giuria alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Il mare. Filo conduttore nel terzo film che il regista romano dedica alla Sicilia è il mare; uno spazio che isola, divide, che uccide i suoi figli; ma anche un mare che accoglie, mette in comunicazione, che abbatte le frontiere dei pregiudizi e degli indici puntati. Proprio su questo confine immaginario s´incontrano Giulietta e Sara, entrambe alla ricerca di una loro Terraferma. Due donne e una sola paura: il passato. Giulietta è stanca della vita nella minuscola isola siciliana: con sguardo assente, osserva il mare, quella distesa ingrata che tre anni fa le ha annegato il marito Pietro e che oggi è avara di pesci e di speranze.
Sara è invece una donna africana in fuga dalla povertà. Neanche la morte le fa più paura. Una parte di lei è morta nove mesi fa in una cella in Libia, dietro la violenza di un uomo. Ma deve farcela per suo figlio di sei anni e per il frutto di quell’orrore che già scalcia nel pancione.

Terzo personaggio è Ernesto, un vecchio e irriducibile pescatore. È proprio lui, durante una pesca notturna, ad avvistare un gruppo di migranti africani sopravvissuti ad un naufragio. La guardia Costiera è informata immediatamente dell’accaduto, ma ammonisce di non prendere nessuno a bordo. “Io gente in mare non ne ho lassata mai!“, ruggisce Ernesto e soccorre quelle anime.
Sulla Santuzza nessuno parla. Anche Filippo, nipote di Ernesto e figlio di Giulietta, non ha nulla da dire. Se ne sta rannicchiato in un angolo, le lacrime gli accarezzano il viso. Piange.

Sbarcati a terra, gli africani si disperdono sull’isola, mentre una donna incinta e suo figlio vengono portati da Ernesto in casa. Poco dopo, tra le braccia di Giulietta, lancia il suo primo vagito un neonato. La donna è diffidente, vuole liberarsi presto dei suoi ospiti; teme gli sguardi indiscreti della gente e che la notizia possa arrivare alle orecchie della Polizia. La cieca volontà di far rispettare le leggi si scontra presto contro la legge del mare. Sotto ”favoreggiamento dell’immigrazione“, le autorità confiscano la Santuzza ad Ernesto.

Intanto gli sbarchi continuano, ma sono ancora cocktails, tornei di beach-volley e feste a scandire la vita degli ignari turisti. La verità irrompe bruscamente una mattina d’estate. Si manifesta sotto forma di un’onda nera, un animale che si scaglia feroce sulla riva e grida al mondo il proprio dramma: agonizzanti e stremati, giacciono i corpi di decine di migranti sulla spiaggia.

Giulietta si precipita in casa. Sara la sta aspettando, ha capito che deve andarsene. La neonata piange, Giulietta la prende al petto e la calma. ”Sente odore di tue mani, lei è nata con tue mani“, sussurra Sara. Sono proprio queste mani che un’ora dopo, nel cuore della notte, aprono la portiera del furgone e nascondono la donna e i suoi figli nel portabagagli.
Insieme ad Ernesto e Filippo, vuole arrivare sulla terraferma in macchina per non farsi scoprire; ma tutti i veicoli che vogliono salire sul traghetto sono controllati dalla Polizia e il vecchio non ha altra alternativa allora che tornare indietro. Filippo non ci sta, ruba la macchina a suo nonno e va a riprendere la barca sequestrata, in mente solo una cosa: raggiungere le coste calabresi e salvare Sara.
“La terraferma ci aspetta“.
Di fronte a loro solo il mare. Immenso.

 Foto: Simonetta Soliani

 

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