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A Monaco "La Città dei matti"

Numerosi interessati erano presenti il 16 maggio scorso all'Istituto di Cultura di Monaco di Baviera per assistere alla proiezione del film "C'era una volta la città dei matti", imperniato sulla biografia dello psichiatra veneziano Franco Basaglia, e per partecipare alla discussione assieme agli illustri ospiti intervenuti

Am 16. Mai wurde im Italienischen Kulturinstitut in München der Film "C'era una volta la Città dei matti" ("Es war einmal eine Stadt der Verrückten") vorgestellt, in dem das Leben und über die Arbeit von Franco Basaglia erzählt wird. Der Psychiater aus Venedig wurde in den 70er Jahren in Italien und in ganz Europa durch sein Konzept der "offenen Psychiatrie" bekannt. Er widmete sein Leben dem Kampf um die Rechte für Menschen mit psychischen Problemen. Dies führte dazu, dass entsprechende Kliniken in ganz Italien für die Öffentlichkeit zugänglich wurden.

Gianni Minellialt

Monaco, 16 maggio 2012. L'evento, organizzato in collaborazione con il Consolato Generale e con il COMITES di Monaco di Baviera, è stato introdotto dalla Dott.sa Giovanna Gruber, direttrice dell'istituto di Cultura, che ha presentato il film e ripercorso la vita e l'opera dello psichiatra Franco Basaglia (1924-1980).

Michael von Cranach, professore emerito in psichiatria, molto noto in Germania oltre che per la sua attività professionale anche per i suoi studi sulla persecuzione nazista dei malati psichiatrici, ha ribadito l'eccezionale influenza di Basaglia sulla psichiatria tedesca ed europea e riferito riguardo ai rapporti personali con il collega italiano avuti in occasione di diversi incontri tra l'altro all'Università di Innsbruck negli anni '70.

L'altro ospite d'eccezione, Giuseppe dell'Acqua, noto psichiatra e attuale direttore del "San Giovanni", l'ex-manicomio di Trieste, ha raccontato la storia del film, che è stato trasmesso due anni fa su Rai Uno, ed ha

ricordato la figura del suo predecessore nonché l'influenza avuta dal suo insegnamento sulla psichiatria ed sulla politica italiana.


Dell'Acqua ha inoltre riferito al pubblico un aneddoto simpatico e poco noto. Nel 1980, poco prima della sua morte, Basaglia, invitato a Roma a collaborare col governo, venne intervistato da un giornalista.

Alla domanda di questi se in Italia si avesse allora una "buona psichiatria" Basaglia, con il suo solito sguardo un po' ironico, reso in maniera magistrale nel film dall'attore Giffuni, rispose candidamente di non saperlo: "…non so cosa sia una buona psichiatria né tanto meno potrei parlare per tutta la nazione." Dopo una breve riflessione però aggiunse: "Nel nostro paese adesso si sta molto discutendo sulla psichiatria e io stesso passo ore a discutere su questo tema. E che si discute tanto è senz'altro una buona cosa." Ripensando alle scene del film, quante volte vediamo il protagonista discutere con tutti, ma soprattutto con loro, i suoi pazienti.
Riguardo alle differenze più salienti tra l'organizzazione della psichiatria in Germania e in Italia, von Cranach e Dell'Acqua chiariscono, rispondendo alla domanda di uno spettatore, come in Italia la struttura terapeutica e riabilitativa sia affidata alle regioni, dalle quali viene applicata in maniera molto differente a seconda delle realtà locali. In Germania sono invece i diversi Länder a gestire risorse simili, offrendo una qualità dei servizi più uniforme.

Dell'Acqua conclude informando i presenti della lunghezza del film e assicurando - senza sbagliarsi - che tutti saranno inevitabilmente afferrati dal lungometraggio e rimarranno seduti sulle loro sedie fino alla fine della proiezione.

"C'era una volta la città dei matti" è un film televisivo prodotto nel 2010 con la regia di Marco Turco e l'attore Fabrizio Gifuni nella parte del protagonista. Le tre ore di proiezione sono interamente dedicate alla biografia dello psichiatra veneziano. La storia inizia con l'intellettuale Basaglia, già insegnante presso l'università di Venezia e apprezzato dai suoi studenti per le idee liberali e progressiste, a cui viene offerta nel 1961 la direzione del manicomio di Gorizia con ogni probabilità appositamente per allontanarlo dall'ambiente didattico. Particolarmente toccanti appaiono allo spettatore le scene delle sue prime visite nei reparti del manicomio, che avrebbe diretto fino al 1969, con giovani pazienti chiuse in gabbie, uomini legati chissà da quando sul letto di contenzione, camicie di forza, elettroshock applicato talvolta solo per motivi disciplinari, recinzioni, mura... Basaglia stenta a credere ai suoi occhi, si sente impotente, vuole addirittura fuggire. Ma la sua tenacia ed il suo straordinario senso di umanità prevarranno. Qui comincia una durissima e toccante battaglia durata fino alla sua morte nel 1980 quando, dopo un referendum popolare viene varata la legge 1980/78 per la chiusura dei manicomi, la "legge Basaglia". (È particolarmente triste e frustrante sentire in questi giorni voci di influenti politici che vorrebbero riaprire i manicomi riportandoci indietro al livello di quarant'anni fa!)

Franco Basaglia si rende conto che, una volta ricoverato in manicomio, il "matto" viene privato della sua dignità di uomo e di ogni diritto elementare, quello alla libertà, all'identità personale, all'amore e perfino alla speranza. Perché da quella prigione nessuno sembra più in grado di fuggire, né tanto meno di guarire dalla sua malattia. Anzi esso continuerà a vegetare e a regredire occultato alla società e agli stessi famigliari, palesi complici di tale delitto.

Accanto all'avventura del protagonista il film descrive anche molte storie personali sia di terapeuti, che condivideranno la sua magnifica esperienza, sia di malati che lui, il loro direttore, alla fine libererà rompendo le sbarre dietro cui erano imprigionati. Storie toccanti di uomini, donne, di "persone" insomma che alla fine avranno la possibilità di ritrovare la loro identità e la loro dignità di esseri umani.

Franco Basaglia muore nel 1980 all'età di cinquantasei anni, quando era direttore del "San Giovanni". Certo troppo presto, ma dopo aver vissuto abbastanza per porre il seme di una pianta eccezionale, cresciuta e giunta fino a noi. Basaglia sosterrà in maniera allora rivoluzionaria, ma oggi ovvia, l'idea che la "chiusura" dei manicomi sarà solo possibile permettendo ai malati psichiatrici l'uso di strutture ambulatoriali riabilitative di passaggio sulla via del loro il reinserimento nella società dei "normali".

Mi si conceda una breve nota personale. Ho lavorato dal 1986 come assistente medico in diverse cliniche psichiatriche tedesche, in particolare nella clinica psichiatrica dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco. Ancora vivissima e tangibile era nei primi tempi della mia attività professionale l'influenza di Basaglia sul rapporto personale sanitario-paziente psichiatrico che ho conosciuto qui e che ho sempre trovato pieno di rispetto. Ed io forse come giovane assistente sentivo un mio orgoglio nel rappresentare anche come italiano quelle idee progressiste e piene di umanità.

Nonostante la terribile esperienza nazista, ma anche dopo quella del dopoguerra, in cui i "matti" venivano separati spesso per sempre dal resto della società, la psichiatria è diventata qui in Germania come nel resto d'Europa, anche col contributo di benefattori come Basaglia, una "normale" branca della medicina. E ciò anche per le migliori possibilità terapeutiche che si ebbero in seguito a disposizione. Al giorno d'oggi si può offrire infatti al malato psichiatrico una terapia quasi sempre efficace e una riabilitazione molto strutturata. Tale apertura è stata possibile solo poiché il disturbo mentale è finalmente considerato, anche grazie a Basaglia, come una malattia come le altre. Che potrebbe colpire in qualsiasi momento ognuno di noi.

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