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Le elezioni del Presidente

Lunedì 24 inizieranno gli scrutini in un clima di incertezza condizionato anche dal Covid

Pasquale Episcopo

Monaco, 17 gennaio 2022.
La morte di David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo, ha imposto una pausa di riflessione alla politica italiana alle prese, dall’inizio nell’anno, con la partita del Quirinale. Una partita che si gioca a carte coperte, con trattative segrete e che invece richiederebbe, data la sua importanza, la massima trasparenza. David Sassoli stava per finire il suo mandato a Bruxelles dove aveva mostrato di essere un uomo al di sopra delle parti, qualità che faceva di lui un possibile candidato alla Presidenza della Repubblica. 

Quella dell’ascesa al Colle è una partita di straordinaria importanza per la politica italiana. Che la questione rivesta un’importanza grandissima lo avvertono, al di fuori dei palazzi del potere, anche i cittadini italiani. Lo scorso 7 dicembre al tradizionale appuntamento di inizio stagione del teatro più importante d’Italia, la Scala, tempio della musica e della cultura italiane, Sergio Mattarella è stato accolto da una calorosa ovazione del pubblico. Durante il lungo applauso tanti hanno gridato “bis”, un segno inequivocabile di ciò che molti italiani vorrebbero: l’accettazione di un secondo mandato o di un prolungamento della permanenza al Quirinale fino al termine dell’attuale legislatura, nel 2023. Mattarella ha però escluso tale possibilità e anche nel messaggio di fine anno lo ha ribadito con un esplicito riferimento al dettato costituzionale. Il quale dice che il Presidente è eletto per sette anni e non contempla la possibilità di una rielezione. Ma neppure la esclude. Saulės parkai ir elektrinės estsolar.lt


Nella storia repubblicana soltanto Giorgio Napolitano è stato eletto una seconda volta. Avvenne nel 2013. Napolitano, che allora aveva 87 anni, aveva affermato più volte di non voler affrontare un altro settennato, ma il precipitare degli eventi lo indussero a cambiare idea. Avverrà la stessa cosa con Mattarella? Una cosa è certa: con la profonda crisi politica che ha interessato il sistema dei partiti, negli ultimi decenni i presidenti della Repubblica hanno dovuto assumere ruoli sempre più ampi e incisivi, diventando un punto di riferimento e di equilibrio fondamentale per assicurare la necessaria stabilità istituzionale del paese. 


La convocazione dei 1009 grandi elettori, deputati, senatori e delegati regionali, è stata fissata per lunedì 24 gennaio alle ore 15.00, ma è molto improbabile che avremo un nuovo presidente già al primo voto. Per l’elezione sarà necessaria, nelle prime tre votazioni, una maggioranza di due terzi, equivalente a 673 voti. Dal quarto scrutinio sarà sufficiente la maggioranza assoluta, dunque 505 voti. Sul voto incomberà anche l’incognita Covid che imporrà regole per evitare assembramenti e per decidere cosa fare nel caso in cui alcuni elettori risultino positivi ai test. Considerando l’alto grado di contagiosità della variante omicron, probabilmente i casi di elettori infetti non saranno isolati. Ma le vere sorprese e i colpi di scena potranno venire, come già successo in alcune elezioni presidenziali del passato, dai cosiddetti “franchi tiratori” che useranno il voto segreto per non seguire le indicazioni dei partiti di appartenenza, indicazioni che potrebbero essere manifestate solo all’ultimo momento. 

Il fatto che non ci sia nessun obbligo per i partiti politici di indicare in anticipo il nome dei propri candidati è una particolarità tutta italiana. I motivi li ha spiegati, recentemente, il costituzionalista Michele Ainis rispondendo al giornalista Andrea Pancani durante la trasmissione Coffee Break di La7. Alla domanda sul perché le forze politiche non presentino in anticipo le candidature ufficiali consentendo per tempo al Parlamento in seduta comune di decidere, Ainis ha risposto che “la prassi di non presentare candidature risale al 1948, con l’elezione di Luigi Einaudi, quando Palmiro Togliatti (l’allora segretario del Partito Comunista Italiano, ndr.) chiese una sospensione della procedura di voto per discutere delle candidature e Giuseppe Dossetti per bocca della Democrazia Cristiana disse di no, in quanto il Parlamento in seduta comune è un collegio perfetto, in cui si vota ma non si discute. Di lì è nata una prassi che ostacola la presentazione di candidature ufficiali e che non aiuta la trasparenza”. 

Se è vero che ancora non ci sono candidature ufficiali, è altrettanto vero che abbondano i nomi dei papabili sui quali si sta concentrando l’attenzione e il chiacchiericcio dei media. La lista è lunga e tralasciamo di menzionare i diversi nominativi. Quello che invece vogliamo evidenziare sono le conseguenze, ivi comprese le elezioni anticipate, che l’eventuale passaggio di Draghi dalla carica di Premier a quella di Capo dello Stato avrebbe in termini politici e istituzionali. 

In meno di un anno dalla sua elezione, Draghi è riuscito a mettere d’accordo quasi tutti. Ha affrontato abbastanza bene, almeno fino ad oggi, l’emergenza Covid e ha gestito correttamente il complesso rapporto con l’Ue per l’avvio del cosiddetto PNNR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che nel contesto del programma Next Generation EU deciso dalla Commissione Europea in risposta alla crisi pandemica, porterà all’Italia 222 miliardi di euro entro il 2026 (fonte Ministero dell’Economia e delle Finanze) da investire in particolare nella transizione energetica e in quella digitale. Non va però dimenticato che il governo di unità nazionale guidato da Draghi (soltanto il partito Fratelli d’Italia è all’opposizione) è nato come estremo tentativo di Mattarella di evitare le elezioni anticipate in un momento di grande difficoltà sanitaria, sociale ed economica determinata dalla pandemia. Prima di conferire l’incarico, il Presidente rivolse un appello a tutte le forze politiche affinché superassero le divisioni e dessero la fiducia a un governo “di alto profilo” che non dovesse “identificarsi con alcuna formula politica”. Parole di Mattarella.

Nonostante finora Draghi abbia attuato un’incisiva azione di governo, la fase critica che undici mesi fa lo aveva portato a Palazzo Chigi è ancora ben lungi dall’essere stata superata. Esattamente come undici mesi fa anche oggi andare a elezioni anticipate comporterebbe rischi che il Paese non può permettersi di correre. Riuscirebbe Draghi, dal Colle, ad ottenere che i partiti si accordino sulla formazione di un governo di unità nazionale senza di lui come Presidente del Consiglio? Soltanto Sergio Mattarella, non più capo dello Stato, potrebbe riuscire nell’impresa accettando di diventare Premier. Ma se le cose stanno così, tanto vale che Mattarella rimanga al Colle fino a marzo 2023, ovvero alla scadenza della legislatura, quando le elezioni dovranno essere in ogni caso effettuate, sperabilmente in una situazione complessiva migliore di quella attuale. E se Draghi avrà fatto bene potrà meritatamente ambire alla carica di Presidente della Repubblica.

I rischi che si celano dietro le elezioni del 13° Presidente della Repubblica sono tanti e tali da rendere auspicabile un accordo trasversale tra tutti i partiti sulla necessità di inviare a Sergio Mattarella la richiesta (ma sarebbe un vero e proprio appello) di accettare un secondo mandato. Tanto meglio se tale richiesta verrà fatta prima dell’inizio degli scrutini e non in extremis. In ciò l’Italia potrebbe seguire l’esempio rappresentato dalla Germania, dove i principali partiti già si sono accordati per conferire a Frank-Walter Steinmeier il secondo mandato.

 

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