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Cagliostro e Ricucci

Lettres italiennes

Cagliostro e Ricucci, le simili parabole di due parvenus Wie schon zu Cagliostros Zeiten, ist es auch im Italien der Gegenwart ohne weiteres möglich, bei „Null“ anzufangen und mit unrechtmäßigen Mitteln etwas zu erreichen.

Corrado Conforti

Recentemente Umberto Eco ha scritto un libro (o meglio ha raccolto in volume alcuni suoi articoli già pubblicati) nel quale osserva come il passato ami da qualche tempo ripresentarsi in avvenimenti analoghi ad altri che li hanno preceduti. Non starò qui a ricordare quali; dirò solo che la teoria non è nuova e mi permetterò, se non di confermarla, almeno di corroborarla con un esempio offerto dalle cronache di qualche settimana fa.
L’analogia in questione è fra due personaggi, il primo nato nel 1743, il secondo 43 or sono. Due biografie in realtà assai diverse, così come diverse sono state le rispettive cadute: tragica la prima, assai meno cruenta la seconda, anche se certamente poco piacevole per l’interessato.
Il primo personaggio si chiamava Giuseppe Balsamo ed era nato a Palermo da una famiglia di modesti commercianti. Perso presto il padre, era stato affidato ad uno zio che senza perder tempo si era liberato di lui affidandolo ad un istituto religioso dove il piccolo venne istruito. Dei primi anni della sua vita sappiamo ben poco.

Lo ritroviamo trentenne in fama di mago e guaritore e con un nome diverso da quello di battesimo: non più Giuseppe ma Alessandro; e non più Balsamo ma Cagliostro, anzi conte di Cagliostro, perché allora come adesso un titolo, nobiliare o accademico che fosse, produceva i suoi effetti.

Fino al settembre del 1789, lo incontriamo in tutte le maggiori corti d’Europa, accompagnato dalla suddetta fama e da una donna bellissima: la giovane moglie Lorenza Feliciani, alla quale Alessandro, alias Giuseppe, ha però cambiato (anche a lei) il nome. Serafina, si chiama ora l’affascinante romana; e le sue grazie aiutano non poco il “conte”, che bello non è, a farsi strada nell’alta società dell’ancien régime.
Sarà un’esibizione delle sue arti stregonesche a Roma il 16 settembre del 1789 a essergli fatale. Denunciato all’Inquisizione finirà i suoi giorni nella fortezza di San Leo in Romagna. Bastonato di santa (santa come l’Inquisizione) ragione ogni giorno, morirà per un colpo apoplettico nell’estate del 1795, pochi giorni prima dell’arrivo delle armate francesi che certamente lo avrebbero liberato.

Il personaggio di oggi si chiama invece Stefano Ricucci. “Romano” di Zagarolo (un paesotto a sud della Capitale) inizia la sua fulminante carriera come cameriere, per diventare poi odontotecnico; non troppo apprezzato però se deve presto chiudere il suo laboratorio, impossibilitato com’è a pagarne l’affitto. La sua fortuna inizia con la vendita di un terreno appartenente alla madre e con il successivo acquisto di tre appartamenti. Come nella favola della contadina che andava al mercato con un cesto di uova sulla testa, dalla vendita delle quali immaginava di ricavare quel guadagno che, una volta reinvestito, le avrebbe progressivamente assicurato la ricchezza, il giovanotto è salito tanto in alto da tentare, l’estate scorsa, la scalata al gruppo RCS; dove l’acronimo sta per Rizzoli-Corriere della Sera. Insomma l’odontotecnico di Zagarolo si stava comprando il “Corrierone“, simbolo e vanto di quel poco che resta della borghesia italiana.

Tutti sanno come finisce la favola sopra accennata: inciampando in una radice, la contadina vede rompersi, insieme alle uova, i suoi sogni di ricchezza. La radice nella quale è inciampato il Nostro sono alcune intercettazioni telefoniche che hanno dimostrato il suo tentativo di ostacolare le indagini della magistratura che lo riguardavano. A lui, al quale si erano spalancate tutte le porte del jet set, si sono così aperte quelle della galera; nel caso specifico quelle del carcere romano di Regina Coeli. Motivo certo di sconforto per il povero Ricucci, ma forse anche di recondita soddisfazione. Un vecchio stornello dice infatti che chi non sale le scale di Regina Coeli non può considerarsi romano, e Ricucci, che romano non è, ha ricevuto in questo modo il suo battesimo di capitolino. Per il resto il solito scenario: gli amici che si defilano e la giovane e bella moglie che tra una lacrima e l’altra avverte la stampa scandalistica che ormai (ma i due si erano sposati nel luglio del 2005) lei e il marito vivevano da separati in casa.
Insomma niente di nuovo: il parvenu sbalzato di sella, la consorte che come Violetta Valery intona sempre libera degg’io, e la non esaltante constatazione di quanto l’Italia del 2006 somigli a quella truffaldina e sgangherata degli anni in cui un Giuseppe Balsamo poteva facilmente diventare il conte di Cagliostro.

(2006-3 pag 18)




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