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Caro  Episcopo

con  sincero compiacimento ho letto il Suo articolo "Sorelle e fratelli d’Italia", sull’ultimo numero di   INTERVENTI. Scritto, si avverte subito, da un italiano vero innamorato del suo Paese e preoccupato per il difficile momento che attraversa.  Momento obiettivamente serio per le molte cose che non vanno come dovrebbero e potrebbero andare, quali ad esempio le persistenti diversità tra nord e sud, l’apparentemente incontenibile  espandersi della corruzione e della malavita più o meno organizzata, la scarsa attenzione della politica ai veri problemi del Paese. Tra questi, la bassa produttività del sistema economico, i problemi delle troppe famiglie che non riescono più a soddisfare i bisogni primari e dei giovani privi di valide prospettive per il futuro; e ancora  un sistema fiscale ingiusto ed oppressivo, servizi pubblici primari quali la scuola e la salute da troppo tempo mortificati dall’assenza di pianificazioni serie e di controlli sull’utilizzo delle risorse. Per non parlare poi della miope disattenzione verso l’immenso patrimonio culturale  e ambientale del quale la Provvidenza ci ha  gratificati.


Sicuramente c’è quanto basta per non  essere ottimisti. Eppure dietro quest’immagine d’insieme, ampiamente  diffusa e alimentata dai media sia esteri che italiani, c’è una realtà diversa, c’è un popolo che pur consapevole dei propri difetti nasconde valori di solidarietà e spinte reattive eccezionali.  Qualità nascoste, assopite, ma pronte ad emergere di fronte alle emergenze. L’Italia e gli italiani vanno prima conosciuti e poi giudicati. Principio certamente valido per tutti, ma per noi in modo particolare.  Siamo da sempre un popolo emotivo, passionale, individualista. La maggior parte delle nostre scelte sono influenzate da questi difetti e il cuore prevale sulla ragione.    
Purtroppo questo vale anche in politica inquinandone conseguentemente gli esiti. La nostra storia ne è testimone. Ma sono difetti che  diventano pregi non soltanto sotto l’aspetto della creatività (basti pensare all’incomparabile ricchezza di opere d’arte e dell’ingegno che hanno segnato nei secoli il nostro cammino), ma anche  della capacità di stare insieme  e di esprimere  altruismo, coesione e coscienza unitaria. Magari lo si fa sotto la pressione dell’emergenza, ma si tratta di un sentimento vero ed aggregante. La situazione attuale è in fondo una conseguenza di un modo emotivo e tutto italiano di fare politica. L’uso che facciamo degli strumenti democratici non è e non sarà mai razionale. Gli individualismi, la naturale tendenza alla trasgressione e, appunto, le spinte passionali impediscono di fatto la convergenza su scelte ponderate e lungimiranti. Ma è certo, e lo vediamo,  che cresce il bisogno di cambiare, di affrancarsi dal rischio  di una "governance" lontana dai veri interessi del Paese. Una spinta reattiva che fatica a manifestarsi per colpa di una legge elettorale perversa che ha dato la maggioranza a una parte politica che di fatto non l’aveva.


Chi, come me, vive in Italia avverte questa voglia  di cambiare, questo bisogno di una svolta. Lo avverto parlando con la gente comune. E la svolta è vicina grazie anche ad una Costituzione tra le più belle nel mondo, che contiene tutti gli strumenti in grado di garantire scelte di libertà e di giustizia e che appunto per questo una certa parte politica vorrebbe modificare.


L’Italia c’è ed è unita, molto più di quanto possa apparire al di fuori dei suoi confini.
La prego non prenda queste mie note come una critica al Suo bellissimo articolo, ma soltanto come un contributo di chi guarda i problemi “dal di dentro”.
Con rinnovata simpatia

Riccardo Padovani

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