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Lamento

Lettres italiennes

Corrado Conforti

Monaco, 12 gennaio 2019.
Je me souviens d'un coin de rue aujourd'hui disparu (mi ricordo di un angolo della via, oggi sparito. ndr) cantava Charles Trenet negli '50, rievocando il quartiere della sua infanzia narbonese.

Non c'è scrittore o poeta che non abbia raccontato con nostalgia gli anni passati e lo scenario di strade e piazze in cui questi sono trascorsi; ed è quasi un luogo comune letterario quello di chi,  ritornando nei luoghi mutati della sua infanzia, si sforza di rivederli come erano un tempo. Ognuno ha la sua madeleine che resuscita antiche sensazioni, e questa madeleine può essere a volte uno scorcio di strada, un vecchio edificio, un giardino pubblico.

Il mio temps perdu si è svolto in gran parte in un quartiere, la Balduina, sorto negli anni '50 alle pendici del romano Monte Mario, quartiere in cui, dalla natia e centrale via Palestro, mi trasferii all'età di due anni e mezzo. Non un bel quartiere devo dire, come del resto la totalità delle urbanizzazioni successive alla seconda guerra mondiale: strade strette a causa dell'assenza di un serio piano regolatore e delle pressioni speculative, e tutta una serie di palazzine, senza cortili degni di questo nome e d'aspetto assai discutibile. E tuttavia molto ambite. La Balduina divenne presto un quartiere di ceti medio-alti. Là abitavano, specialmente nella parte più elevata chiamata Belsito, molti attori e dirigenti della Rai. La ragione è semplice, in pochi minuti in macchina si raggiungevano i teatri di posa e gli auditori del quartiere delle Vittorie.

Una prima timidissima urbanizzazione della zona si era svolta a partire dagli anni '20; ne sono testimonianza ancora oggi piacevoli costruzioni fra le quali un bel villino dell'architetto Coppedè. Ma il tutto si era poi arrestato, sia perché Mussolini nella sua paranoia aveva indicato il mare come destinazione dello sviluppo urbanistico, sia perché nel '40 l'Italia era entrata in guerra.

Quando la mia famiglia si trasferì proprio in piazza della Balduina, il quartiere era ancora circondato da prati dove pascolavano pecore e mucche, e ancora per qualche anno resistettero lì casali rustici con tanto di stalle e pollai. Ero troppo giovane allora per notare il contrasto fra moderni edifici, palazzine novecentesche di gusto neobarocco, fattorie sorte forse nel '700 e addirittura un paio di ville rinascimentali ormai prive del parco che un tempo le aveva circondate. Gli spazi verdi si ridussero progressivamente; tutto venne asfaltato e cementificato; ma fu proprio in mezzo a quel cemento che io compii le mie prime passeggiate. Lì, in quelle brutte strade e mediocri piazze che qualche olmo o pino marittimo si sforzava di abbellire, mi incontravo nel pomeriggio con i miei amici (tutti compagni di scuola) con i quali si facevano apprezzamenti pesanti sulle compagne di classe, ostentando un cinismo che nessuno di noi in fondo possedeva, e sognando in realtà un primo grande amore. Che poi venne. Per tutti, e che per me fu una compagna di liceo di due anni più giovane che abitava a dieci minuti da casa mia. Quante volte abbiamo percorso io e lei quelle strade mano nella mano come si conviene a due ragazzi innamorati. Quante volte nella bella stagione e non solo in quella siamo saliti al cosiddetto Zodiaco (dal nome del bar che lì si trovava) il punto più alto di Monte Mario sotto il quale si stendeva e si stende l'intera città. Poi, alla metà degli anni '70, quando la violenza politica consigliava la sera di restarsene a casa, quante volte ho camminato lungo quelle strade in compagnia di un amico con il quale mi intrattenevo ingaggiando lunghe e spesso fumose discussioni politiche, sempre attenti a evitare il punto di via delle Medaglie d'Oro in cui uno Stato, complice della strategia della tensione, consentiva la presenza di una sezione del M.S.I. (Movimento Sociale Italiano, ndr), sezione che alla fine ci si decise a chiudere, ma solo dopo che, nel settembre del '77, il canagliume lì raccolto aveva ucciso, con un colpo di pistola, un ragazzo di Lotta Continua.

Nel bene e nel male quelle strade contengono un'infinità di ricordi, belli e meno belli, ma resi tutti cari dalla distanza. Quei ricordi sono la mia sostanza, un archivio che riesploro sempre con piacere, specialmente in questa terza fase della mia esistenza in cui lo sguardo preferisce orientarsi verso il passato piuttosto che verso il futuro.

Ebbene il mio quartiere, quello delle mie prime passeggiate, delle mie fantasticherie adolescenziali, dei giovanili “baci rubati”, come li definirebbe ancora Trenet, è ormai da settimane, come ha mostrato un filmato postato sul sito di Repubblica, un mondezzaio, uno scarico di lordure di ogni sorta, un insieme di cassonetti che vomitano buste di plastica che nessuno rimuove. L'incompetenza, che ha il suo postulato nella presunzione, governa Roma, e i poveri untorelli tronfi che siedono in Campidoglio non sanno, nella loro superficialità e nella loro miseria intellettuale, che la loro inettitudine non è solo un disastro politico: è anche un veleno per l'anima.

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