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Integrazione o integrazione!

La democrazia deve anche garantire il dialogo tra maggioranza e minoranze

Integration ja, aber eine erzwungene Integration widerspricht den Grundgedanken der Demokratie.

Miranda Alberti


Parlare di "integrazione" o parlare di "integrazione!" non è dire la stessa cosa, anzi, per essere precisi, significa dire l’opposto. Perciò quando sentiamo parlare di tale questione occorre prestare grande attenzione al tono che viene usato per sapere di cosa, in verità, si stia parlando. La questione in sé riguarda il rapporto tra maggioranza e minoranze in una società democratica. È il tema di queste settimane, ma è anche un tema che sempre e di nuovo si pone in un mondo in cui la mobilità al di fuori dei confini nazionali sta diventanto la regola e non più l’eccezione, specialmente in ambito europeo. Se durante un dibattito su questi problemi il tono tende a quell’esclamativo consiglio ad ognuno di abbandonare la discussione, perché, di fatto, non c’è più niente da discutere.

La maggioranza, avvalendosi della sua superiorità numerica, ha deciso anche per la minoranza e il dialogo è puramente virtuale. Se poi una maggioranza possa permettersi questi toni in una società democratica è questione da Corte Costituzionale. Se, invece, il tono è sereno e pacato allora possiamo cominciare a ragionare insieme e questo ragionare insieme è già un passo, forse il più importante, sulla strada dell’integrazione perché l’essenza dell’integrazione è il dialogo. Ragionare significa distinguere ed evitare inutili confusioni. Primo distinguo: l’integrazione non può mai essere un fatto culturale, per il semplice fatto che un fondamento della società democratica è la libertà di pensiero e di opinione. Il concetto di Leitkultur, nel vuoto senso in cui viene sbandierato in questi giorni, è una sciocchezza che possono permettersi soltanto gli arroganti! Diverso è il concetto di cultura egemone, cioè quello di una "cultura" nei cui contenuti qualificati e qualificanti molti individui di una società possono liberamente riconoscersi ed identificarsi. In questa fase postmoderna la cultura occidentale razionalista, egemone per molto tempo, sta tramontando e non saranno certo vuoti e nostalgici concetti che la possono rispolverare, ma un progetto nuovo che sappia orientare le coscienze verso il futuro. Si sente la mancanza degli intellettuali in questo dibattito. Che stanno facendo? Che stanno pensando? Non sarebbe male se, un volta tanto, facessero sentire la loro voce quando è necessario e non quando è troppo tardi! Secondo distinguo: l’integrazione non può mai essere un fatto religioso, per il semplice fatto che l’altro fondamento della società democratica è la libertà di religione e, se permettete, anche quella di non-religione! Come non esiste una Leitkultur non esiste neppure una Leitreligion. Quello che invece andrebbe sempre e di nuovo ribadito è la separazione fra Stato e religioni. Peccato che, a turno, tutti facciano finta di dimenticarsene, imponendosi reciprocamente i propri principi: velo sì, velo no; crocifisso sì, crocifisso no. La questione invece sarebbe se 2-3 ore di religione su una somma di 22-26 ore settimanali in una Grundschule non siano effettivamente troppe! Dov’è la voce dei laici a questo proposito? A Memmingen ho sentito dire da una mamma che il suo ragazzino di dodici anni era tornato a casa sconvolto dopo aver visto un video sull’aborto durante l’ora di religione. Queste sono le cose che dovrebbero scandalizzare e non tanto i veli o i crocifissi. Terzo distinguo: l’integrazione può essere un fatto eminentemente linguistico? Vediamo: è necessario e giusto che, colui/colei che decide di vivere in Germania, si ponga ad impararne la lingua, ma fino a che punto
l’apprendimento del tedesco può diventare conditio sine qua non per vivere in Germania? Incoraggiare l’apprendimento della lingua corrente è giusto, imporlo no, per il semplice fatto che non è possibile farne una legge generale valida per tutti e in ogni luogo. Kant insegna. Dovrebbero forse tutti i tedeschi che abitano al Lago di Garda parlare perfettamente l’italiano? D’altra parte una società rigidamente monolinguistica non costituisce necessariamente un vantaggio nel villaggio globale. Molto più importante sarebbe formare il maggior numero di bilingue o trilingue, persone che possono fare da tramite fra i popoli. Quarto distinguo: il Bundeskanzler Schröder ha posto sul giusto binario un discorso che tende a deragliare da ogni parte. Integrazione significasoprattutto rispetto della Costituzione e delle Leggi vigenti dello stato dove si vive. Una frase che mi trova concorde se non che io vedrei anche questo fondamento in modo
dinamico/democratico. Non per quello che riguarda la Costituzione, ma per le Leggi, penso che anche le minoranze debbano avere il diritto di esprimersi sulla loro validità. Per esempio: se vado ad abitare in California devo essere acriticamente d’accordo anche con la pena di morte? Ho o non ho il diritto di manifestare il mio dissenso? E se, vivendo in Germania, trovo che il suo sistema scolastico sia troppo discriminante nei confronti dei bambini che provengono da famiglie disagiate o straniere, posso permettermi una critica costruttiva? E come dimostro al meglio la mia integrazione? Tacendo e accettando passivamente o parlando ed esprimendo il mio pensiero? "Integrazione" e "integrazione!": una parola, ma due opposti significati. È il tono che fa la melodia.

(2005-1 pag 6)

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