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Aldegonda di Baviera e Francesco V d’Este

Un’unione oltre la ragion di Stato

1842 heirateten in der Allerheiligenkirche am Kreuz in München Franz Ferdinand von Österreich-Este und Adelgunde Auguste Charlotte von Bayern. Die Hochzeit war nicht nur politisch motiviert, sondern sie war auch von Liebe geprägt.

Giuseppe Muscardini

L’esperienza umana di Silvio Pellico, le sue privazioni allo Spielberg, gli oltraggi di una prigionia lunga ed esasperante, modificarono le prospettive e la stessa personalità del patriota torinese.

Rinchiuso in se stesso, pensieroso, disilluso negli alti ideali che lo avevano animato, alla fine degli anni Trenta Pellico accettò l’incarico di bibliotecario presso i Falletti di Barolo, nella cui casa si trasferì per restarvi fino alla morte. La filantropia, le buone letture e il riposo impostogli da una salute cagionevole furono da allora le sue occupazioni, ma non prima di aver dato alle stampe i Doveri degli uomini e due volumi di liriche.

Allontanandosi dalla politica e inseguendo le sole rivoluzioni che nascono dentro le anime, Pellico era persuaso che l’amore per il prossimo fosse il solo ideale per cui valesse la pena di lottare. Non la rassegnazione, la resa, ma la volontà di concepire l’esistenza come qualcosa di ugualmente grandioso, malgrado le storture sociali e le sofferenze; posizione, questa, derivante dal suo progressivo avvicinamento alla Chiesa Cattolica.

Ma più delle motivazioni religiose, fu l’amore per la verità a farsi strada: la tolleranza, l’incuria per le calunnie, divennero le difese di un uomo fiaccato dalla prigionia, ma ancora prosciugato nell’intimo. La scelta di una filosofia conciliante è riscontrabile in una lettera del 6 gennaio 1843 indirizzata al marchese Cesare Campori di Modena, Ciambellano del Duca Francesco IV di Modena. In precedenza lo stesso Campori lo aveva informato di uno spiacevole dissapore con Pier Alessandro Paravia, letterato di vaglia del periodo risorgimentale. La risposta di Pellico è tutt’altro che scivolosa: induce il marchese a trarre cristianamente da ogni critica i migliori vantaggi. L’atteggiamento non è passivo, ma dettato dall’acquisita convinzione che non serva difendersi dalle accuse gratuite e che la forza della coscienza, insieme alla buona fede, sia sempre la più lodevole virtù degli uomini saggi.

Eppure i rapporti fra Cesare Campori e Pier Alessandro Paravia appena due anni prima erano di affabilità. Si ha notizia di una precedente corrispondenza tra i due dove il tono è cordiale e amichevole. Si legge in una lettera da Venezia del 21 ottobre 1841: Mio caro Marchesino, Le scrivo una sola riga per dirle che ebbi oggi la Sua cara lettera. Mi ralegran le nozze del Suo Principe Ereditario; per la quale occasione son certo che la Sua Musa non tacerà. Suo aff.mo Servo ed amico. P.A. Paravia. Venezia, 21 8bre 1841.

Interessante la citazione alle nozze del Principe Ereditario, evento a cui il Ducato dedicò nel corso del 1842 un gran numero di manifestazioni celebrative. È del matrimonio fra l’arciduca Francesco d’Austria d’Este con Aldegonda Augusta Carlotta di Baviera che si parla, annunciato nel foglio ufficiale di Modena il 26 febbraio 1842, poi celebrato il 30 marzo dello stesso anno a Monaco di Baviera nella Allerheiligenkirche am Kreuz (Chiesa di Ognissanti, oggi in Kreuzstraße 10). I due si erano incontrati a Modena nel 1839, nel periodo in cui Ludovico I di Baviera, genitore di Aldegonda, aveva reso una visita al Duca Francesco IV d’Este, padre del giovane principe ereditario Francesco Ferdinando.

Tra i due giovani, sedici anni lei e venti lui, si stabilirono presto le condizioni ideali per consentire ai rispettivi regnanti di pensare seriamente ad un’unione matrimoniale che legasse la dinastia Estense a quella Bavarese. Fu il canonico Giuseppe Forni, maggiordomo di primo grado del principe ereditario Francesco d’Este, a recarsi a Monaco l’8 marzo del 1842 per chiedere in forma solenne al Re di Baviera la mano della principessa. La ragion di Stato fu tuttavia favorita dai sentimenti autentici subito nati fra i due giovani, dettati da una stima e da un rispetto reciproco che non si esaurirono nel corso dei successivi trentatré anni di matrimonio. L’iconografia ufficiale allude in modo palese agli amorosi sensi che caratterizzarono la loro unione, restituendoci in una litografia del tempo un bel ritratto dove risalta la regale serenità di entrambi. La stessa postura è conservata dagli sposi nel recto in una medaglia coniata nel 1842 in occasione del matrimonio; si legge nell’iscrizione: francisco atest. archid. avstr. dvci mvtin. destinato et aldegonda bavarica favsto connubio ivunctis xxx mart. a. mdcccxxxxii. Fuori dalle solennità e dalle celebrazioni, un’immagine fotografica realizzata nel 1870 ritrae Aldegonda di Baviera e Francesco V nella quiete domestica degli ampi spazi di Corte, lei intenta a leggere, lui in divisa militare che a braccia conserte guarda in direzione del fotografo, tale Giuseppe Fantuzzi di Reggio Emilia.

Una verosimile raffigurazione di Aldegonda di Baviera del primo periodo modenese è oggi conservata presso la Galleria Estense di Modena, opera di Adeodato Malatesta. Bella, occhi luminosi, incarnato roseo e pelle di seta, la giovane donna rivela nel volto i tratti di chi vive con letizia la sua nuova condizione di moglie in una terra straniera ma ospitale. Una terra che qualche giorno dopo il matrimonio celebrato a Monaco, l’accolse con grandi festeggiamenti durati a lungo. Per l’occasione furono allestite a Modena e a Reggio Emilia sfarzose sfilate di carri che si protrassero fino agli ultimi giorni di maggio. Nelle diffuse illustrazioni dedicate ai festeggiamenti, spicca per imponenza il cosiddetto carro diurno bavarese, un grande carrozza sormontata da baldacchino ricostruita in onore di Aldegonda dal Conte Agostino Paradisi e su cui la sposa prese posto insieme al Duca per i cortei lungo le vie della città. E sempre in suo onore fu eretto a Reggio Emilia un obelisco alto 17 metri e 75 centimetri, ancora ben conservato nell’attuale Piazza Gioberti. Recuperato quarant’anni dopo il significato celebrativo dell’obelisco in funzione risorgimentale, sopra il basamento oggi si legge: Questo monumento eretto per le nozze di Francesco V d’Este con Aldegonda di Baviera fu per voto di popolo consacrato ai primi martiri della libertà. MDCCCXLII – MDCCCLXXXII.

Il principe ereditario successe al padre Francesco IV quattro anni dopo il matrimonio con Aldegonda, che acquisì il titolo di Duchessa di Modena. Le insurrezioni risorgimentali, le legittime pretese indipendentiste dei modenesi, la perdita dell’unica figlia Anna Beatrice, nata appena un anno prima, i tragici fatti della guerra, la fuga da Modena nel 1859, consolidarono nel tempo l’unione fra i due regnanti fino alla scomparsa di Francesco V, avvenuta a Vienna alla fine del 1875. Aldegonda gli sopravvisse per altri quarant’anni, trascorsi fra Vienna e il Castello bavarese di Wildenwart. Poi la morte la colse a Monaco il 28 ottobre 1914.

Nelle sue righe Paravia lasciava presumere che la Musa del Ciambellano di Corte Cesare Campori non avrebbe taciuto per il solenne matrimonio del Duca, salutando l’evento con versi in lode della principessa. In realtà il componimento ufficiale, intitolato All’augusta Aldegonda, R. Principessa di Baviera, Sposa all’Altezza Reale Francesco d’Este Arciduca d’Austria, Principe Ereditario di Modena, si ascrive ad un autore che si mascherò dietro lo pseudonimo di Mauro Jattice. Il componimento ha il seguente incipit: Or che ti guida un Angelo / Presso all’Azziaco Trono / L’Arti essi pur desiano / Di presentarti un dono. / E un’altra rosa aggiungere / Al tuo gemmato crine: / Non la sdegnar, la Grazia, / Ride coll’Arti affine. I versi, dettati dal sentire poetico di un uomo di Corte, forniscono di Aldegonda una descrizione certamente enfatica ed encomiastica, ma nella quale si scopre una palese consonanza figurativa con il citato ritratto di Adeodato Malatesta conservato alla Galleria Estense di Modena. Una rosa è dipinta sul lato sinistro dell’ovale del bel viso di Aldegonda. Il fiore è fissato ai capelli, che si intendono gemmati perché impreziositi dalle pietre incastonate nel diadema.


(2010-2 pag 22)

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